Un immigrato ungherese

Peter Kornel Gogolak, è un signore che tra poco compirà 72 anni. Immigrato ungherese nato a Budapest nel 1941, si trasferì negli Stati Uniti all’inizio dell’invasione sovietica, e qui frequentò la Cornell University. Nel periodo di formazione sportiva del giovane Peter Kornel, l’Ungheria era sulla bocca di tutti gli appassionati dell’altro football, quello europeo, perchè la Honved prima, e la nazionale ungherese poi, mettevano in campo un sistema di gioco travolgente e qualitativamente elevato soprattutto nella fase d’attacco, in cui spiccava la figura del “centravanti arretrato”. Kocsis, Puskas e compagni le suonavano a tutti, tanto da laurearsi campioni olimpici nel 1952 ed arrivare alla finale mondiale a Berna nel 1954, sconfitti dalla Germania Ovest in uno dei più miracolosi upset sportivi della storia.

Poi i carri armati sovietici e la fine di tutto, se non che certe predisposizioni, come calciare il pallone, rimasero nei ragazzi ungheresi che si sparsero per il mondo.

Gogolak alla Cornell giocò kicker, e grazie alla sua tecnica derivata dal football europeo, catturò l’attenzione degli specialisti e fu draftato nella stagione 1964 dai Buffalo Bills che giocavano la AFL.

Fin qui, tutto ok: un biennio eccellente con i Bills che gli valse la chiamata nella gara All-league, oltre ai due titoli AFL, pagati profumatamente da Ralph Wilson.

New York non dista un’infinità da Buffalo, ed i Giants nel 1965 alla voce “kicker” erano più o meno disperati: il rookie Bob Timberlake era riuscito nella non indifferente impresa di sbagliare tredici field goal consecutivi, non capendoci niente del vento invernale che spirava dentro lo Yankee Stadium. Cercarono Gogolak, che nel ruolo era un vero fenomeno e, giocando a Buffalo, aveva dimestichezza con i calci in situazioni ventose dato che dal War Memorial Stadium si vedeva il lago Erie. Lo misero sotto contratto, rompendo la tacita norma che regolava  i rapporti tra NFL ed AFL ovvero “non si rubano giocatori sotto contratto nell’altra lega”, e innescarono una reazione a catena incontrollata.

Ovviamente, la rappresaglia della AFL fu immediata e coinvolse molti giocatori, Al Davis, commissioner AFL dall’aprile ’66 e proprietario dei Raiders, al motto di “Niente prigionieri” mise immediatamente sotto contratto John Brodie Mike Ditka e Roman Gabriel, mentre altri semplicemente lucrarono sulla minaccia di trasferirsi. Il draft fece spendere una valanga di soldi alle due leghe (7 milioni di dollari per le sole scelte del ’66), facendo lievitare clamorosamente le spese per gli stipendi. 

Pete Rozelle, commissioner della NFL dalla scomparsa di Bert Bell, aveva salvato la lega da una morte per asfissia portando aria nuova e basandosi su una analisi delle migliori caratteristiche della AFL da recepire immediatamente, tra cui ad esempio la suddivisione equa dei diritti televisivi, ma non colse fino in fondo le potenzialità della lega avversaria finchè la grana dei contratti non gli scoppiò in faccia. Più lesti di lui, ma sempre troppo lenti per non ritrovarsi ad agire in una situazione di emergenza, furono i proprietari: Tex Schramm, general manager dei Cowboys, ebbe contatti informali con Lamar Hunt, dei KC Chiefs, per una possibile fusione delle due leghe, e questa inaspettata apertura venne cavalcata dalla AFL che era composta principalmente da proprietari rimasti scontenti dalle continue porta in faccia prese richiedendo franchige NFL. Rozelle capitanò la propria delegazione e l’8 giugno 1966 a New York ne usci un matrimonio di convenienza che si sarebbe perfezionato di lì a pochi anni. Portando la NFL a diventare una maxilega da 24, poi, 26, infine 28 squadre nel 1970. Nel frattempo si sarebbe tenuto un draft unificato e sarebbero state mantenute separate regular season. Al Davis si disse completamente contrario all’accordo, avviato a sua insaputa e, a sua detta, penalizzante per la AFL a causa degli indennizzi da pagare per i bacini di utenza condivisi (Jets pro Giants nella zona di New York, Raiders pro 49ers per la zona di San Francisco), e rassegnò le dimissioni da commissioner il 25 luglio. 

Il Congresso, secondo le rigide regole antitrust americane, vagliò la fusione e diede il via libera. Così, il primo passo del matrimonio potè essere posato: una gara tra i campioni AFL ed NFL.

Data e luogo, in realtà furono resi noti solo poco più di un mese prima dello svolgimento della gara: Los Angeles Memorial Coliseum, 15 gennaio 1967.

L’organizzazione fu tutt’altro che una passeggiata, a partire appunto dalla data e dal luogo: il NFL Championship, inamovibile, era previsto il primo gennaio 1967. Inizialmente l’AFC Championship era previsto a Santo Stefano. Venne quindi proposta la data dell’8 gennaio, ma la breve distanza per preparare l’incontro fece optare per una soluzione molto più spettacolare: il primo gennaio, all’una di pomeriggio a Buffalo nell’AFC Championship, i Kansas City Chiefs batterono i Bills campioni in carica 31-7; alle quattro a Dallas nel NFL Championship, i Green Bay Packers violarono il campo dei Cowboys 34-27. 

Il First AFL-NFL World Championship Game sarebbe stato giocato il 15 gennaio, e per il regolamento, ci si sarebbe adeguati con una via di mezzo: palloni Spalding con l’attacco dei Chiefs in campo, palloni Wilson con i Packers in possesso, e niente conversione da 2 punti.

La gara fu teletrasmessa sia da CBS che NBC, detentrici rispettivamente dei diritti di NFL e AFL, che misero uno sforzo enorme per vincere la loro gara fatta di percentuale di ascolti. In un’intervista pregara, Gifford di CBS ebbe al microfono Vince Lombardi, di lui ebbe poi a dire:

“[Lombardi was so nervous that] he held onto my arm and he was shaking like a leaf. It was incredible.”

Nell’unico Super Bowl che non registrò il tutto esaurito sugli spalti, con circa 60.000 persone a fronte di 94.500 posti a causa del costo dei biglietti lievitato fino a 12 dollari, la tensione fu probabilmente senza precedenti: non vi era la pressione di tutta una lega sui giocatori, ma la pressione di due leghe. Che riversavano su Chiefs e Packers le loro aspettative, le loro speranze, i sogni di rivalsa per la AFL, ed il desiderio di ribadire il primato per la NFL.

Fred “The Hammer” Williamson, CB dei Chiefs, l’aveva sparata forte nei giorni precedenti dichiarando “Two hammers to Dowler, one to Dale should be enough”, riferendosi a Boyd Dowler e Carroll Dale, i due principali ricevitori dei Packers. Ma mentre le Los Angeles Ramettes, le majorette che si esibivano in ogni gara casalinga dei Rams (si era pur sempre al Coliseum, casa degli arieti all’epoca) terminavano la loro fatica, nel tunnel che portava al campo, gli animi dei giallorossi erano altri, il linebacker E. J. Holub ricorda:

“the Chiefs were scared to death. Guys in the tunnel were throwing up.”

Ma tutto doveva essere messo da parte, si doveva iniziare. Una e un quarto spaccate di un assolato pomeriggio del Pacifico, il kickoff di una nuova era.