Lo Snow Bowl

Il Columbus Dispatch segnala per il 25 novembre 1950 una temperatura minima di 5° F (-15°) e 20° di temperatura massima (-6,7°) con sette pollici e mezzo di neve che corrispondono a circa 20 cm. Il vento a quasi 30 nodi (il peggior blizzard a Columbus negli ultimi 37 anni) completava un quadro veramente infausto per un sabato pomeriggio all’aria aperta, magari per giocare a football.

E invece era proprio in programma The Game: la partita, quella tra Ohio State e Michigan, in un’epoca d’oro per i programmi della Big Ten. Cancellare la gara sarebbe stato vantaggioso per i padroni di casa: li avrebbe portati al titolo Big Ten ed avrebbe automaticamente estromesso Michigan dalla possibilità di giocare il Rose Bowl, due piccioni con una fava. Tuttavia all’Ohio Stadium avevano già venduto un botto di biglietti per la gara, ed il direttore atletico dei Buckeyes, Dick Larkins, dopo aver parlato con i responsabili di Michigan e della Big Ten, decise di giocare comunque. Il giornalino universitario, Ohio State University Monthly, riportò senza mezzi termini le condizioni meteo di quel pomeriggio:

“The game was played in the teeth of a full-scale blizzard, five inches of snow on the ground and snow whistling through the air, borne on a 29-mile-per-hour gale.  Despite the fact it was the worst blizzard in 37 years in Columbus, the Ohio capital easily defended its title as the football craziest town in the nation.  A total of 50,503 persons braved the elements, staying below deck, under the Stadium, until just a few minutes before the kickoff.”

Più di 50.000 persone sfidarono gli elementi per vedere i loro beniamini e, per la maggior parte, sperare che i Buckeyes portassero a casa la partita rifacendosi della sconfitta patita una settimana prima contro Illinois, e vincessero così la Big Ten Conference. I Wolverines giocavano anche per un posto nel Rose Bowl, Ohio State era andata l’anno precedente ed in Big Ten Conference vigeva la regola del no-repeat: non si poteva giocare due anni a fila il Rose Bowl. Se Michigan avesse perso, il rappresentante Rose Bowl probabilmente sarebbe stato Wisconsin , che aveva chiuso con un record di 5-2.
Le condizioni meteo drammatiche alterarono il normale svolgimento del gioco, rendendolo una sequela di papere sportive: agli sbuffi nel freddo facevano da contraltare le continue scivolate dei giocatori, gli urti inaspettati, mentre le mani intirizzite si facevano sfuggire palle che in altri momenti sarebbero apparse a dir poco facili. A questo aggiungete che praticamente ad ogni chiusura di giocata, intervenivano squadre di volontari che cercavano di tenere sgombre almeno le righe per determinare una misurazione esatta dei guadagni: pala in mano, imbacuccati fino alle orecchie, attendevano lo svilupparsi del “gioco” in attesa di entrare in campo.

Presto la strategia si fece basilare: primo e secondo down con corse centrali per evitare gli slittamenti sulle corse laterali, terzo down al punt perchè in caso di fumble ci sarebbe stata la seconda occasione al quarto down. Furono gli errori nell’eseguire questa basilare strategia a fare la differenza: Ohio State segnò per prima con un field goal del futuro Heisman Trophy Vic Janowicz, dopo che Robert Momsen aveva ricoperto un punt dei Wolverine bloccato. Momsen aveva di fronte, tra le fila di Michigan, suo fratello Tony, che fu provvidenziale: dopo aver subito una safety per un punt bloccato ed uscito lateralmente in endzone, a 47 secondi dalla fine del primo tempo, Ohio State si trovò a dover eseguire un altro punt presso la propria endzone, Tony Momsen riuscì a bloccare il punt e cadde fortunosamente sopra la palla, recuperandola e segnando un insperato touchdown che fissò il punteggio sul 9-3. Ohio State fallì un field goal, e nel secondo tempo non vi furono segnature per l’incessante nevicata e la stanchezza dei giocatori.

Dopo quella gara che chiuse la stagione per Ohio State e mandò Michigan al Rose Bowl poi vinto contro California 14-6, l’HC dei Buckeyes Wes Felser finì in un altro blizzard, questa volta fatto di critiche sulla gestione della gara, e sulla sua incapacità cronica contro gli avversari storici: quando venne licenziato di lì a poco, il suo record contro Michigan si chiuse con un misero ed inappellabile 0-3-1.

Di lì a pochi mesi, dopo la messa alla porta di Felser, sulla sideline di Ohio State si sarebbe presentato un signore di nome Woodrow “Woody” Hayes, ma questa è tutt’altra storia.