Dick Vermeil

Quando si parla di Dick Vermeil, prima di tutto bisogna levarsi il cappello, perchè di allenatori del genere ne sono nati pochi. 

Nato nella assolata California, dopo aver frequentato la Calistoga High School, andò a San José State dove si laureò facendo il backup quarterback, rimanendo da quelle parti come Assistant Coach della Del Mar High School per poi diventare subito l’anno dopo head coach alla Hillsdale High School di San Mateo, girovagò la California con incarichi di coaching, fino ad assumere per la stagione 1965–66 la guida dei freshman della Stanford.

Nel 1969 arrivò il primo incarico in NFL, i Los Angeles Rams di George Allen lo assunsero inventando una nuova figura: il coach dello special team. Se si esclude il 1970 in cui fu vice a UCLA, la sua prima avventura tra i pro fu tutta agli arieti, fino alla chiamata come head coach di UCLA.

In due stagioni aveva condotto i Bruins alla prima vittoria del titolo Pac dopo un decennio, ed a una prestigiosissima vittoria al Rose Bowl, sconfiggendo gli imbattuti aspiranti campioni nazionali di Ohio State. Con un record complessivo di 15-5-3 in due stagioni, si era guadagnato il titolo di Coach of The Year, ed un mucchio di sguardi puntati addosso.

Dall’altra parte degli Stati Uniti, dopo aver vinto il campionato NFL nel 1960 con Buck Shaw, che si era prontamente ritirato, i Philadelphia Eagles avevano attraversato un lungo periodo di insuccessi: fino alla stagione 1975 gli Eagles avevano assunto cinque allenatori, che assieme avevano compilato un record 74-127-9 con solo due stagioni positive.

Gran parte del merito di queste stagioni si può attribuire alle infelici scelte di quell’ubriacone di Leonard Tose che dal 1969, anno in cui aveva acquistato la franchigia, aveva assunto tre di questi cinque coach, Per cui, dopo essersi liberati di Mike McCormack (fenomenale lineman ma pessimo allenatore, 16-25-1 dal ’73 al ’75), gli Eagles intervistarono diversi tecnici come Hank Stram e Allie Sherman, e Norm Van Brocklin, il quarterback della squadra campione 1960 che aveva smesso il casco ed era andato ad allenare prima Vikings poi Falcons. Alla fine però, l’interesse si era concentrato su Vermeil, che inizialmente fu assai riluttante all’idea: gli Eagles si erano quasi strozzati con le loro mani per ottenere il QB Roman Gabriel nella stagione 1973 ed il LB Bill Bergey la stagione successiva, nessuna scelta fino al quarto giro del Draft 1976, nessuna fino al quinto nel 1977 e solo dalla terza scelta in poi per il 1979. Per chi segue gli sport statunitensi significa lacrime e sangue e prospettive sportive ridotte al lumicino.

L’8 febbraio 1976, a 39 anni, Dick Vermeil si convinse grazie ad un contratto di cinque anni, prendendosi completamente la prima stagione per mettere il proprio marchio su una squadra in gran parte da rifare. Gabriel era ancora a roster ma a 36 anni veniva utilizzato come backup di un giocatore tutt’altro fenomenale come Mike Boryla. La linea offensiva aveva bisogno di miglioramenti ma contava su due Tackle promettenti quali Sisemore e Walters, oltre al TE Charle Young che era considerato (e si considerava, senza mezzi termini) uno dei migliori della lega.

Nelle skill position, il WR Harold Carmichael, alto 6-8, forniva un bersaglio enorme anche se non sempre affidabile. Il rookie FB Mike Hogan giocò bene fino all’infortunio, mentre lo stagionato HB Tom Sullivan passò una stagione tormentata dagli infortuni. In difesa Vermeil scelse immediatamente di virare verso la 3-4 data la penuria di lineman e la forza del reparto linebacker, guidato da Bergey; ma la differenza più grande portata dal nuovo HC fu nell’etica del lavoro, elevandola ed intensificandola per stanare ed eliminare immediatamente chiunque non credesse nel suo progetto, dando per primo l’esempio sdrenandosi appresso ad ogni aspetto della squadra, a volte, si dice addirittura dormendo in una brandina approntata nel suo ufficio del vecchio, glorioso, Veterans Stadium. Nella prima preseason del 1976 furono 120 i giocatori che iniziarono, di cui più di 80 nuovi, furono gli allenamenti duri a ridurre la squadra al roster consentito. Bergey più tardi, ebbe a dire:

“I always had a sense that we were moving in the right direction. Even in the early years when the wins were few and far between, we could see the intensity of the play picking up. Dick’s personality rubbed off on us”

Le vittorie furono sicuramente poche all’inizio di quella pericolosa avventura. Il club bissò la stagione 1975 postando un record di 4-10 nel ’76, la prima delle quattro vittorie fu quella in casa con i New York Giants, in cui una delle segnature fu provocata da un fumble ricoperto da Vince Papale, una delle scommesse di Vermeil, e più avanti uno dei beniamini del Veterans, perchè la squadra perdeva, è innegabile, ma lo faceva con un altro tipo di spirito. Era il tasso tecnico e l’esperienza che mancava, non certo la voglia e l’intensità sportiva. 

Privi delle prime quattro scelte al Draft 1977, gli Eagles chiusero quella stagione 5-9 con sei delle nove sconfitte con scarti al massimo di sei punti. Young, coinvolto in una disputa contrattuale, fu ceduto ai Rams dopo che il posto da QB era stato affidato a Ron Jaworski, “The Polish Rifle”, cresciuto durante la stagione così come Carmichael, apparso più maturo e carismatico, ed il rookie Wilbert Montgomery in posizione di runningback.
Ma il capolavoro, di valore assoluto, e ancora senza prima e seconda scelta al Draft, giunse nel 1978, quando Vermeil dalla sideline guidò Philadelphia ad un record di 9-7 guadagnando un posto per i wild card game. Montgomery stabilì il record della franchigia per yard corse in una singola stagione con 1.220. Il wild card game, giocato all’Atlanta Fulton County Stadium, finì 14-13 per i Falcons e risvegliò brucamente gli Eagles: non erano arrivati ancora da nessuna parte, e quell’ultimo risultato lo aveva dimostrato.
Nel 1979, finalmente con la possibilità di effettuare un draft con le prime due scelte, Philadelphia non sbagliò: con la pick 21 chiamò il LB Jerry Robinson da UCLA, con la 48 arrivò la guardia Petey Perot da Northwestern State, e con la 74 il kicker Tony Franklin da Texas A&M, il primo ed il terzo andarono al Pro Bowl ed in stagione regolare fu subito 11-5 ed una nuova qualificazione ai wild card game, due presenze a fila in post-season, in Pennsylvania non le vedevano da trent’anni.
 
Si arrivò così al 1980. Philadelphia draftò Roynell Young, che si guadagnò immediatamente il Pro Bowl, e chiuse 12-4 dopo aver vinto undici delle prime dodici gare di stagione. Dopo aver perso l’ultima gara di stagione contro Dallas, si aggiudicò la sua Division, che non accadeva da vent’anni, e giunse all’NFC Championship, vincendo una inusuale terza sfida stagionale contro gli odiati Cowboys 20-7, ma arrivando con il fiato corto al gran ballo del Super Bowl, in cui Oakland ebbe la meglio sul sintetico del Superdome.
Molti considerano la gara con i Cowboys il climax dell’avventura sportiva degli Eagles targati Vermeil: pur con un inizio 6-0 nel 1981, Philadelphia tossicchiò completando la stagione 10-6 e perdendo il wild card game contro i Giants. Per la prima volta nella storia, gli Eagles di Dick non miglioravano la stagione precedente. Il mesto addio arrivò al termine della stagione 1982 accorciata a causa dello sciopero: 3-6. Vermeil tolse il disturbo, “burnout”: la sua intensità emotiva, che non infrequentemente lo portava a piangere davanti ai microfoni, se l’era mangiato, e senza di quella non poteva dare nulla alle aquile.

Ci mise molto a cambiare idea, stare dentro ad una cabina di commento e dilettarsi con il vino erano due attività che non gli dispiacevano affatto. Quando gli Eagles nel 1994 licenziarono Kotite, il nuovo proprietario Jeffrey Lurie ventilò l’ipotesi di richiamare Vermeil come allenatore. Tuttavia, gli Eagles e Vermeil non incrociarono di nuovo le loro strade, e l’amato ex-coach commentò seccamente:

“I’m not going to beg Jeffrey Lurie to coach this football team.”

Vermeil tornò invece ad allenare a St. Louis nel 1997. Come nella sua esperienza a Philadelphia, i primi due anni furono quantomeno difficili: i Rams chiusero 5-11 nel 1997, e la stagione successiva andarono pure peggio, 4-12.  Ad inizio 1999 i Rams decisero di cambiare in attacco, e così rivoluzionarono il roster a partire dai QB, rilasciando Bono e Banks, ed ingaggiando il QB coach dei Redskins Mike Martz che si porta il QB Trent Green, ad aprile si completò la trade per ottenere il RB Marshall Faulk per una seconda e quinta scelta, e venne draftato il ricevitore Torry Holt al sesto giro. Vermeil si poteva dire soddisfatto, se non fosse che in una partita di pre-season contro San Diego, Trent Green venne colpito al ginocchio dal lato cieco, la stagione era già finita. E qui Vermeil si ricordò di quel ragazzo a cui aveva fatto fare un provino, quello che veniva dalla NFL Europe e prima ancora dalla arena league.

“We’ll be a good football team with Kurt Warner here.”

Le parole del coach non erano di facciata, i Rams non si mossero per trade o free agency, e Vermeil ci vide giusto anche quella volta, mentre TV, giornali e radio in tutto il Missouri mettevano per persa la stagione. Inutile dilungarsi su Warner e sulla sua favola sportiva degna di un film: con lui in cabina di regia, i Rams esplosero, finendo la stagione 1999 con un record di 13-3, realizzando uno dei più grandi miglioramenti netti nell’arco di una stagione, della storia della lega. Ma non contenti, i Rams volarono fino al Super Bowl XXXIV vincendolo 23-16 sui Tennessee Titans. Vermeil aggiunse a questo, il premio NFL Coach of the Year per la seconda volta per la stagione 1999 ed abbandonò St. Louis dopo questa straordinaria vittoria, annunciando nuovamente il ritiro dalle scene.

L’offerta dei Kansas City fece cambiare idea a Vermeil il 12 gennaio 2001, quando firmò e prese in mano una squadra che con Gunther Cunningham aveva finito 7-9.  La sua prima stagione con i Chiefs fu tutt’altro che spettacolare, ma anzi addirittura peggiore dell’anno prima, 6-10, il peggior record dal 1988. Vermeil fece i veri e propri grandi cambiamenti per la stagione 2002 dove risalirono ad 8-8 e misero assieme il miglior attacco della NFL con Priest Holmes, Trent Green, Tony Gonzalez, Dante Hall e gli OL Willie Roaf e Will Shields. Nel 2003 i Chiefs iniziarono la stagione 9-0 che diede una grandissima mano al record finale di 13-3, che permise a KC di arrivare ai playoff e vincere AFC West, bissando il titolo di miglior attacco della lega. In questa stagione Vermeil finì in una curiosa situazione di premi-prestazione non autorizzati perchè prima del field goal decisivo contro Oakland, vedendo il kicker Morten Andersen un po’ teso per il suo 500 field goal della carriera, gli promise una bottiglia di Bryant Family Wineyard Cabernet e Andersen, intenditore di vini, non fallì il calcio, ma la NFL ritenne la promessa un premio non previsto nel contratto e vietò la consegna della bottiglia.

Ma si avvicinava un nuovo canto del cigno, il 7-9 nel 2004 fu marcato da un attacco per il terzo anno al top della NFL ma anche, e soprattutto, da una in adeguatissima difesa che chiuse 31ma su 32 squadre. Vermeil tornò per la stagione 2005 nuovamente con il miglior attacco della NFL e una difesa nettamente migliore. Il gioco più rischioso messo in atto da Vermeil perse già a week #8 per infortunio il runningback probowler Priest Holmes. Tuttavia il suo infortunio permise l’emergere di Larry Johnson. Il 31 dicembre, Vermeil annunciò per la terza ed ultima volta il suo ritiro, e il giorno seguente l’Arrowhead lo vide per l’ultima volta vittorioso 37-3 sui Cincinnati Bengals. Nonostante un lusinghiero 10-6, KC non si qualificò per i playoff.

Qui è finita la carriera in sideline di un uomo forse troppo emotivo ma che ha saputo scrivere pagine indimenticabili nella storia di questo sport. Non tutti saprebbero risollevare le sorti di tre franchigie nell’arco di tre anni ciascuna, non tutti saprebbero vedere il talento seppellito sotto le spoglie di misconosciuti semiprofessionisti senza preparazione da élite college, non tutti sanno vincere un Super Bowl con un QB sophomore di ventotto anni, che in tutta la sua carriera pro aveva lanciato undici volte in tutto.

Non tutti sono Dick Vermeil.