Lamericasiferma

E così è arrivato il periodo più strano dell’anno, per un tifoso di football americano: la prossima settimana si consumerà l’evento più importante della stagione, il Super Bowl, che deciderà quale sarà la squadra campione del mondo per la stagione 2017 che però finisce nel 2018… ma vabbè.

Il Super Bowl è un evento teoricamente meraviglioso, che corona la stagione di uno sport durissimo e spettacolare che regala gare dagli epiloghi clamorosi grazie a giocate inaspettate, come quella di qualche giorno fa tra Minnesota e New Orleans.

Il problema è che stiamo parlando di una lega privata, e quindi su un certo evento deve fare cassa il più possibile. Non solo l’interminabile Half Time Show che ci sfrangia i maroni tutti gli anni, e che aggiunge ansia dell’attesa all’ansia della gara, ma anche le lunghissime pause per ogni possibile messa in onda di spot pubblicitari.

Ecco appunto gli spot pubblicitari, quelli che immancabilmente compaiono come landmark nei servizi delle TV generaliste italiane che si accingono a parlare di questo evento. Perché il Super Bowl, e lo sport che rappresenta, così lontano dalle italiche usanze, non viene lasciato in pace come succede per The Ashes o per i sei rituali tornei nipponici di sumo, ma viene superficialmente affrontato nei suoi aspetti più notiziabili, con grande scorno dei veri appassionati che vedono bistrattato il loro sport preferito, e ridotto a una carnavalata costosa. Ve ne elenchiamo alcuni:

1) Lamericasiferma

Che non sia mai che manchi, nei pezzi dei TG nazionali, la frase magica ormai diventata una parola sola, non meno significativa del celebre “supercazzola”. Manco si parlasse di shutdown trumpiano, fa specie a noi italiani che un paese si fermi per un evento di uno sport, come se qui, durante le partite dell’Italia ai Mondiali, si vedesse molta gente in giro per le strade. Ma di Litaliasiferma ne ho sentiti ben pochi.

2) I nomi, mio dio i nomi!!!

Sentire “I Cowboys di Dallas” o “I Patriots del New England” fa più o meno bestemmiare quanto “l’Internazionale di Milano” o “Il Panionios di Nea Smirne”. La scelta di rendere i nomi con questo giro di parole sfugge alla mia comprensione, ve lo giuro. Se un giornalista medio è in grado di copiarsi interi pezzi di Wikipedia e crearne un articolo per un quotidiano, non capisco perché nel caso di nomi di squadre, si prenda la briga di stravolgerli con questo sapore da cinegiornale del Ventennio.

3) I nomi, mio dio i nomi!!! Part 2

Ok, vogliono inventarsi i nomi, va bene che lo facciano, ma dove non possono sfuggire alla precisione delle diciture, non possono leggere male orsù! Vedere la pubblicità del Super Bowl dell’anno scorso con la voce che dice “Dall’EN-GI-ER Stadium di Houston” fa salire un po’ il grammar nazi che è in me.

4) Le immagini

Queste sequenze senza un apparente legame con la gara, dove vengono inquadrati i coach che parlano ma non si sa cosa dicono, oppure persone in jersey della propria squadra che bevono al bar e guardano partite a caso esultando se succede qualcosa, poco importa cosa sia, l’importante è che si veda come gioiscono in maniera “diversa” dall’italiano medio.

5) Il tono giornalistico

I servizi si prolungano per qualche minuto con tutte le caratteristiche sopra dette e finiscono immancabilmente con il giornalista in piedi dalle parti dello stadio, che lancia commenti ironici a questi strani ammerekani che amano questo strano gioco con i giocatori che sembrano un incrocio tra un pilota di formula uno e uno sbandieratore del palio di Siena. E a tal proposito…

6) Il gioco, questo sconosciuto

Il buon giornalista dovrebbe applicare la regola delle 5 W e quindi per lo meno spiegare a grandi linee cosa è la NFL e come si gioca a football, dato che il suo sarà l’unico servizio su questo gioco per i successivi 12 mesi. Invece le regole fondamentali ed i principali meccanismi di gioco vengono puntualmente bypassati per far vedere gente che mangia hot dog.

7) Il gioco questo sconosciuto. Part 2

Se le regole vengono puntualmente omesse a danno di chi non le conosce in maniera autonoma, il livello peggiore dei media è raggiunto quando trattano in maniera approfonditissima i protagonisti. Se andiamo bene vengono forse citati i nomi dei coach, se andiamo male si limiteranno a citare i quarterback (o quaterback https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/02/superbowl-new-england-batte-seattle-tom-brady-fa-poker/1389288/) alimentando la credenza che esso sia il deus ex machina della squadra, e dando luogo a fenomeni fastidiosissimi come i sondaggi “Chi è il più forte quarterback della storia?”

8) Ma chi canta?

Ovviamente, ampio spazio verrà dato sia a chi canterà l’inno, sia all’half time show dove li si che verranno nominati tutti i partecipanti. Che poi giochino il Super Bowl i migliori cornerback del decennio o il centro pro bowler più forte della storia, chissenefrega, dicci chi fa le canzonette che se viene quella topa di Beyoncè allora lo guardo!

9) I biglietti

Posto che siamo il paese dei bagarini, pare quanto meno inutile che tutti gli anni ci facciano il borsino del costo dei biglietti del Super Bowl così come pare buffo che ogni anno ci raccontino quanto costa un pranzo la domenica del GP di Montecarlo al ristorante della Rascasse. Chi vuole comprarsi un biglietto o un pranzo non aspetterà il TG4 per sapere le quotazioni, è solo un modo bieco di creare interesse in base a una generica “indignazione” perchè la gente spende così tanto e i bambini muoiono di fame.

10) Gli spot pubblicitari

Il costo al minuto degli spot pubblicitari al Super Bowl è l’argomento più interessante per un italiano, un altro modo per indignarsi ad minchiam, prendere in giro gli americani oppure fare paragoni azzardati tipo lo stipendio di Fabio Fazio per il Festival di Sanremo. Parlare del costo degli spot pubblicitari riassume in sé tutta la superficialità dei media generalisti italiani nel seguire l’evento, ed è come i gattini sui profili facebook delle quarantenni: immancabile.