BENGALS: Filosofia sbagliata?

Della stagione fallimentare dei Bengals abbiamo già parlato in precedenza qui, evidenziando come forse sarebbe stato il momento giusto per apportare qualche cambiamento ai vertici. Ovviamente, con il disappunto di molti, così non è stato e Marvin Lewis sarà sulla panchina di Cincinnati anche nel 2017.

Oggi parleremo di alcuni aspetti da prendere in considerazione per qualche riflessione a posteriori. Il grosso problema dei Bengals è che, nonostante i 6 anni per costruire un roster valido, definito da alcuni nel 2015 addirittura il più talentuoso della Lega e messo insieme credendo fortemente nel Draft e affidandosi raramente all’incognita free agency, è mancato il salto di qualità. Nel giro di questi 6 anni di Era-Dalton il roster è mutato poco, la OL ha cambiato un solo elemento, la difesa è rimasta pressoché la stessa e l’unico reparto rivoluzionato è stato quello dei ricevitori durante la scorsa off-season. Tuttavia nello stesso periodo il coaching staff non ha avuto la stessa fortuna: ben quattro head-coach NFL attuali hanno lasciato Cincinnati negli ultimi 4 anni grazie all’ottimo lavoro svolto come assistenti o coordinatori. Zimmer e Gruden sono partiti ad inizio 2014 e, dopo un anno di assestamento, hanno portato ai playoff vincendo la division due franchigie in ricostruzione. Sfortunatamente per loro sono usciti al primo turno e nel 2016 non sono riusciti a ripetersi. Hue Jackson, partito due anni dopo, con l’ingrato compito di risollevare Cleveland dalla disperazione si è aggiudicato una prima scelta assoluta. E infine Vance Joseph che, dopo aver fatto risorgere la difesa dei Dolphins in un solo anno (portandoli anche ai playoff) avrà il duro compito di sostituire Kubiak a Denver. Indubbiamente un minimo di rimescolamento di coach in giro per la NFL è normale, ma bisogna ammettere che far fronte a queste perdite promuovendo coach di reparto a coordinatori non può che creare qualche ostacolo al processo.

Abbiamo così riassunto quella che è la filosofia dei Bengals “Trust the process”, caratterizzata da una fiducia cieca nel Draft e nei propri assistenti.

Che cosa è crollato quest’anno? Svolgiamo lo sguardo al Draft 2015. Due OT Ogbuhei e Fisher al primo e al secondo dovevano essere i due tackle del futuro al posto dell’inconsistente Andre Smith e dell’anziano Whitworth. Ogbuhei, titolare quest’anno, è stato disastroso, forse il peggior starter in assoluto visto nel 2016, gli verrà data un’altra opportunità, ma dovrà lavorare molto per non essere definito un bust. Fisher non ha quasi mai giocato tackle puro, ma spesso è stato schierato come tackle aggiunto e ha contribuito più con penalità commesse che con blocchi. Al terzo giro è arrivato PJ Dawson da TCU, LB undersize con tante aspettative, tagliato e poi raggiunto in practice squad, a questo punto sembra una pick sprecata. Sempre nel terzo e nel quinto sono arrivati due TE, Kroft e Uzomah, che, complice l’infortunio di Eifert, hanno avuto la possibilità di giocare ma la loro prestazione è stata a cavallo della sufficienza, leggermente meglio Uzomah, pur parlando di prestazioni da terzo TE a roster, niente di più, manca il talento. Al quarto sono arrivati Hardison, DT infortunato nel 2016 e inactive per tutto il 2015 e Josh Shaw, l’unico valido al momento che ha a tratti rubato il posto di slot CB al primo giro 2014 Dennard (altra delusione della scorsa stagione). Infine al sesto la safety Derron Smith, che è sembrato un discreto backup e il WR Mario Alford al settimo, già tagliato e approdato a Cleveland lo scorso anno.

Parlare della classe 2016 è ancora presto, l’unico che ha avuto spazio a sufficienza per valutarne la prestazione è stato Boyd, che ha fatto registrare una stagione in crescendo, gli altri, tra infortuni e la caratteristica dei Bengals di utilizzare poco i rookie, li potremo analizzare solo tra un anno.

Aggiungiamo una classe 2014 tutt’altro che brillante e forse dobbiamo iniziare a diffidare di chi ci racconta che Marvin Lewis e Mike Brown siano effettivamente così bravi in fase di Draft, forse i meriti erano più di Zimmer e Gruden.

Questa filosofia è poco rischiosa e permette di risparmiare tanti soldi nel salary cap, ma non ha portato frutti quando doveva inoltre sta facendo allontanare molti giocatori che, giustamente preferiscono tentare la sorte e provare a vincere in ambienti meno conservativi, basti pensare a Sanu ad Atlanta. A proposito di Atlanta, i due leading tackler sono due rookie… non dico altro.

Con questa nota poco rassicurante concludiamo la fase di analisi del 2016 e a breve, con la combine che si avvicina, inizieremo a trattare i nuovi prospetti e le opzioni in free agency.