Chi glielo fa fare?

Con il passaggio di P.J. Fleck dalla sua stessa “creatura”, i Western Michigan Broncos, ai Minnesota Golden Gophers, si riapre, per chi sta a migliaia di chilometri dagli Stati Uniti, la grande domanda che assilla tutti i trasferimenti di coach da college “in crescita” a college “in decadenza”.

Chi glielo fa fare?

Rimanere in college vincenti non-Power 5 Conference assicurerebbe gloria pressochè eterna dalle parti di campus come Kalamazoo, Houston, DeKalb, permetterebbe di proseguire la crescita del sistema fino magari a fargli guadagnare il prestigio di una chiamata dalle grandi conference (vedi Louisville, Missouri), postare stagioni leggendarie con talmente poche sconfitte da doverle cercare col lanternino, guadagnarsi ingressi nella top-25 senza doversi per forza schiantare le reni in estenuanti schedule contro avversarie agguerrite come succede in SEC, in B1G, in Pac-12 eccetera.

Eppure succede, succede continuamente, anche per situazioni che sembrano sprizzare oggettiva assurdità come quella di Fleck, appunto.

 

Parto con un po’ di storia di questa specifica vicenda per inquadrarla: P.J. Fleck è più giovane di alcuni giocatori che in NFL fanno ancora la differenza tipo Drew Brees, Tom Brady, James Harrison, Adam Vinatieri, ma dopo aver giocato appena un paio di anni nei 49ers (uno quasi tutto nella practice squad, uno in IR per un infortunio alla spalla) fu rilasciato e non riuscì più a trovare posto nella lega dei professionisti dopo aver declinato l’invito di coach Nolan a Frisco che lo voleva nello staff che curava i receiver.

Appeso il paraspalle al chiodo, l’ex ricevitore dei Northern Illinois Huskies trovò posto ai Buckeyes dove rimase appena un anno per poi tornare nella sua Alma Mater come responsabile dei ricevitori di Joe Novak e successivamente anche di Jerry Kill. Il suo lavoro venne segnalato a Greg Schiano che lo assunse per la stessa posizione a Rutgers, e dopo un biennio Schiano intraprese la poco fortunata avventura NFL con i Tampa Bay Buccaneers (NFL, mica cotiche) portandoselo dietro come coach per la medesima posizione.

Western Michigan veniva da un quadriennio poco esaltante che aveva segnato la fine del settenato di Bill Cubit, licenziato e trasferitosi all’Università dell’Illinois come OC. Cubit aveva segnato un’epoca di un certo splendore per i Broncos, giunti a tre bowl (tutti persi) nel corso di quei sette anni, a confronto dei due disputati nel precedente mezzo secolo. Fleck arrivò a WMU come il più giovane coach della FBS, preceduto dalle voci riguardo il suo carisma e la sua energia.

In un programma che aveva segnato come recruiting il 93mo posto nel 2012, il 112mo nel 2011 e l’83mo nel 2010 (fonte Scout.com), una delle prime azioni di Fleck come capo allenatore fu quella di annullare le borse di studio offerte ai giocatori in entrata che si erano solo verbalmente impegnati con Western Michigan. tutto questo a poche settimane dal National Signing Day, lasciandoli senza il tempo materiale per farsi reclutare da qualche altra scuola, nello spiegare le motivazioni, Fleck fu molto chiaro:

“So che se mi fosse capitato, sarei stato irritato. So anche se mi fosse capitato, mi sarei fatto vivo nell’ufficio del capo allenatore del football, dicendogli che morivo dalla voglia di essere ancora qui”

In tema di recruiting scelse di assumere un responsabile, per la prima volta nella storia della scuola, e alla fine tutto questo lavoro ha pagato con un quadriennio iniziato 1-11 e finito ad ospitare per la prima volta College Gameday a Kalamazoo ed a giocarsi da #15 del ranking il Cotton Bowl contro Wisconsin #8. Il Cotton Bowl, non il Mazurka Bowl o il Pannocchia Bowl.

Cosa potrebbe chiedere un allenatore se non continuare questo sogno? Invece Fleck saluta seppur con le lacrime agli occhi sicuramente, imbocca l’Interstate 94 e scende a Minneapolis, nuovo Head Coach dei Minnesota Golden Gophers, appena giunti quarti su sette nella West Division di nonna Big Ten.

Aggiungo altri appunti di storia per quanto riguarda Minnesota: Tracy Claeys è stato licenziato dopo aver portato la squadra a due bowl in due anni ed a un 9-4 nel 2016 del tutto lusinghiero. Motivo del licenziamento è il supporto a 10 studenti-atleti (si, li chiamo ancora così, sono un romantico, lo so) che sono stati sospesi dalla scuola per un caso di violenza sessuale su cui indaga la polizia del Minnesota.

Questo pone Fleck nella situazione di dover far fronte alla sospensione di Ray Buford, Carlton Djam, KiAnte Hardin, Dior Johnson, Tamarion Johnson; Antonio Shenault, Kobe McCrary, Mark Williams, Seth Green e Antoine Winfield Jr. ma pone anche l’allenatore di fronte ad un salto di qualità non indifferente: dalla MAC alla B1G.

Chi osserva il football limitandosi a guardare il presente potrebbe vedere una squadra da anni mediocre, magari ultimamente migliorata, ma che appare come un vaso di coccio tra vasi di ferro di una Conference dove Ohio State, Michigan, MSU, Wisconsin, Nebraska e Iowa si litigano il posto al Championship. Tre stagioni mediocri, impiegate a ricostruire un attacco asfittico, potrebbero mettere in croce un allenatore che a Kalamazoo poteva invece vivere di rendita almeno un decennio.

Certamente rimanere un ulteriore anno a WMU avrebbe significato lavorare con un team che conosci come le tue tasche, osannato più o meno come un dio, ed attendere una chiamata certamente più ghiotta di Minnesota, tanto ogni anno qualche testa salta sempre là più in alto.

Ma, a mio modesto avviso, non si tengono in considerazione alcuni aspetti importanti in tutta questa vicenda:

 

La B1G non è la MAC

La B1G è una conference molto di moda ultimamente, e sicuramente rappresenta, per un coach, uno dei migliori stimoli a prescindere dalla moda. Minnesota non è propriamente sotto i riflettori, tuttavia è una scuola che trasuda storia, una scuola dove le tradizioni affondano le radici due secoli fa, nell’800. Questo significa molto per chi deve reclutare, per chi deve portare dei ragazzetti in giro per un campus: portateli a Kalamazoo a vedere la bacheca dei trofei, e poi portateli a Minneapolis, e poi vediamo dove ha battuto più forte il cuore, dove gli occhi si sono fatti vacui.

Se pensate che Fleck sia un bravo recruiter, dovete pensare anche che lo sarà enormemente di più in una piazza come Minnesota.

 

Domani non è oggi

Sebbene la NCAA abbia mediamente più pazienza per i coach rispetto alla NFL, i treni spesso passano una volta sola. Ne potete avere conferma ad esempio chiedendovi che fine ha fatto l’hype attorno a NIU, perchè basta una sconfitta con Wyoming per veder quasi sparire Boise State dal radar nazionale, perchè Colorado State nonostante abbia piazzato due giocatori tra i primi cento del Draft 2015 debba sempre reclutare gli scarti degli altri, e perchè invece basta una vittoria con qualche cadavere targato SEC per vedere rispuntare puntualmente nel ranking squadre come Arkansas o Auburn. Fare 13-1 e giocare il Cotton oggi non significa automaticamente fare 12-2 l’anno prossimo e trovare posto nella prossima gustosa sideline. Significa piuttosto dover presentare schedule più competitive, lavorare il doppio, rischiare fortemente di non fare nemmeno 12-2 e “passare di moda” come coach ambito da ogni programma.

 

MInnie non è Oregon (per dirne una)

Questa è la riflessione forse più personale: essere scelti da una università che licenzia un coach perchè insoddisfatta dei risultati, significa, molto semplicemente “Devi ottenere MOLTI RISULTATI”, questo significa da un lato che devi continuare a reclutare bene eccetera, ma anche che la scuola ritiene già di avere buone basi di partenza. Questo pone un “contratto” tra la scuola e il coach sbilanciato verso la prima. Questo è ancora più evidente in un’epoca in cui i sistemi di gioco permettono a molti college di segnare numeri offensivi degni di un videogioco modalità “principiante”. Ma soprattutto questo potrebbe essere letale quando il Big College, vedendo risultati apparentemente scarsi, dimenticherà in fretta da dove eri partito, per licenziarti e passare oltre.

Giungere in una scuola che ha appena sospeso il 10% della propria squadra ed ha dovuto licenziare un coach vincente a furor di popolo per questioni extrasportive, ti pone come primo obiettivo di essere uno che fa un po’ di pulizia, anche a costo di avere iniziali cattivi risultati. Questo compito di cosmesi sportiva pone  mio avviso un contratto sbilanciato più in favore del coach. Per questo la scelta di Fleck mi sembra più che legittima.
Solo il tempo saprà dirci se il giovanotto ha fatto la scelta giusta, e se tutto questo sbrodolamento di riflessioni che ho fatto sopra ha un senso nel college football di oggi.