3 Giugno 1959: nasceva Sam Mills, “Keep Pounding” man

Vi sarà capitato di seguire una partita di Carolina e leggere queste due parole “Keep Pounding” un po’ ovunque.

Vi sarà capitato di tenere una maglia dei Panthers in mano, o osservare una foto di una loro divisa, e leggere, all’interno del colletto, “Keep Pounding”.

Due parole, due semplicissime parole che tradotte nella nostra lingua non hanno molto significato, ma che se ascoltate in un determinato contesto, conoscendo la storia che hanno alle spalle, assumono tutta un’altra importanza, e si tramutano in un grido di battaglia, un inno a lottare e a non mollare mai, fino in fondo, fino all’ultima goccia di sudore, fino a quando c’è fiato in corpo e si ha la forza di stare ancora in piedi.

Stare in piedi, già, un’azione che per l’uomo che ha pronunciato queste parole era una vittoria, giornaliera, contro il tumore che lo aveva colpito senza sconfiggere la sua anima, il suo cuore, e la sua passione per il football; quell’uomo aveva un nome, Sam, ed un cognome, Mills, e fin dall’inizio della sua carriera nel mondo della palla ovale si era sempre sentito ripetere una frase “troppo piccolo per giocare”, come se raggiungere a stento il metro e settantotto fosse da considerarsi una limitazione insormontabile.

Eppure, chi decideva di accettare la sfida, chi si convinceva a dargli una chance, non ci metteva davvero molto a cambiare idea, come successe a Fred Hill, allenatore di Montclair State University, che appena vide la sua grandezza sul terreno di gioco, gli spalancò le porte dei Red Hawks, con i quali giocò l’intera carriera collegiale, chiudendo con oltre 500 placcaggi e 3 titoli di miglior difensore della New Jersey Athletic Conference in tasca.

Numeri impressionanti che non bastarono però a Mills per aprirsi una strada verso il football professionistico, tant’è che dopo aver fallito i tryouts con Cleveland Browns e Toronto Argonauts, decise di appendere il casco al chiodo e diventare allenatore presso la East Orange High School; esperienza che si concluse nel 1983, l’anno della svolta, grazie alla neonata United States Football League e ai Philadelphia Stars, che lo misero sotto contratto dopo averlo messo alla prova in un workout.

Divenuto in breve tempo un leader indiscusso, in campo e fuori, della franchigia, si guadagnò il soprannome di “The Field Mouse” per la rapidità con cui piombava sugl’avversari, quasi sempre senza che questi lo vedessero arrivare, visto che spesso era uno degli atleti più bassi sul manto verde; veloce, aggressivo, dotato di una buona tecnica di placcaggio, conquistò prima il suo coach, Jim Mora, e poi l’intera lega, venendo inserito nell’All-Team USFL al termine di ogni stagione.

SamMillsCampione USFL prima con Philadelphia e poi con Bailtimore, dove si erano trasferiti gli Stars, nel 1984 e nel 1985, vicecampione nel 1983, alla chiusura della stessa, nel 1986, passò ai Saints, seguendo il suo grande estimatore Mora, che nel frattempo era diventato head coach di New Orleans; in Louisiana giocò fino al 1994, diventando uno dei membri della “Dome Patrol”, nickname attribuito allo stellare reparto linebacker, perno centrale della temutissima defense del team ad inizio anni ‘90.

Diventato free agent al termine dell’anno, Mills firmò con i neonati Carolina Panthers durante l’offseason successiva, e ancora una volta ci mise davvero pochissimo a conquistare allenatori, dirigenti e tifosi, scendendo in campo in ognuno dei match disputati nei primi tre anni di vita della franchigia e confermandosi un leader indiscusso della squadra, che condusse fino ai playoffs nel 1996, season che si concluse con la sua quinta, e ultima, apparizione al Pro Bowl.

Considerato uno dei migliori difensori ad aver giocato in USFL e tra i migliori linebacker ad aver calcato i campi della NFL, il prodotto di Montclair State chiuse la sua carriera professionistica con 1.319 tackles, 20.5 sacks, 11 intercetti, e 4 touchdowns, disputando 181 match da professionista, 173 dei quali da titolare; inserito nella Louisiana Sports Hall of Fame nel 1988, nella New Jersey Sports Hall of Fame nel 1993, e nella New Orleans Saints Hall of Fame nel 1998, è l’unico giocatore attualmente presente nella Hall of Fame di Carolina, che lo ha celebrato, con una statua in suo onore, appena dopo il suo ritiro.

A sancire un legame viscerale che lo univa ormai ai Panthers, la decisione di rimanere a Charlotte e iniziare il suo percorso da allenatore professionista proprio con l’ultima squadra della sua carriera, che nel 1999 lo ha promosso a linebackers coach; quattro anni più tardi, in un giorno d’Agosto del 2003, la scoperta di un tumore all’intestino e la diagnosi che gli concedeva solo pochi mesi di vita, provarono ad incrinare questo rapporto, ma invece di romperlo, lo resero ancora più forte, fino a consegnarlo all’eternità.

Mills, infatti, nonostante la chemioterapia e la radioterapia continuò ad allenare, programmando le sedute nei giorni in cui era in ferie o non era necessaria la sua presenza in campo, e il suo esempio spronò i suoi ragazzi, e tutti i componenti del roster dei Panthers a dare il meglio di loro, giocando una regular season ad altissimo livello e centrando l’obiettivo postseason, che trovò il culmine nella vittoria contro i Dallas Cowboys, la partita che fece da sfondo alle parole che il loro coach scrisse, indelebili, nella storia, e nei loro stessi cuori.

“Ci sono giorni buoni e giorni cattivi, io sono solo contento di viverli, questi giorni, sapete? Quando ho scoperto di avere il cancro, ci sono solo due cose che potevo fare, smettere o continuare a martellare. Sono un combattente, ho continuato a martellare. Voi siete combattenti, anche, quindi, continuate a martellare. “KEEP POUNDING”. In attacco. In difesa. Negli special team. SU OGNI, SINGOLO, GIOCO”.

Questo il discorso, tradotto, con tutti i limiti che impone la nostra lingua, che fece ai giocatori di Carolina quel giorno, parole in grado di scatenare reazioni ed emozioni, di aprire la mente e scaldare i cuori, di raccontare, in brevissimo tempo, chi era Samuel Davis Mills Jr. e qual’era la sua magica storia.

Sam Mills era quell’uomo troppo piccolo per giocare in NFL, ma non ascoltò chi glielo ripeteva, continuamente, e tra i professionisti ci giocò per undici, intense, stagioni.

Sam Mills era quell’uomo che avrebbe dovuto vivere per appena due mesi, ma ancora una volta non ascoltò, o non volle ascoltare, e visse per quasi due anni.

Sam Mills era quell’uomo che non avrebbe più avuto la forza per allenare, ma come aveva sempre fatto nei momenti decisivi della sua vita, decise di non ascoltare, e per fortuna, nostra, continuò a farlo, regalandoci una delle pagine più belle di questo straordinario sport.

Sam Mills è morto il 18 Aprile del 2005, ma il suo ricordo, la sua anima, e quel grandissimo, enorme, cuore che pulsava dentro il suo petto vivono ancora attraverso le sue parole, e quel discorso, magico, che fece ai suoi giocatori il 2 gennaio del 2004, celebrato ad ogni partita casalinga dalla Panther Nation attraverso la marcia dettata dalla “Keep Pounding” drum, e dalle parole, incise, sulle divise da gioco degli stessi Panthers.

La lezione impartitaci dallo storico numero 51 di Carolina, che lo ha ritirato dalla numerazione ufficiale del team dopo la sua morte, è piuttosto chiara, non importa ciò che la vita ci riserva, non importa se anch’essa è soggetta ad una data di scadenza, nulla ci deve impedire di fare ciò che ci rende felici, e non bisogna mai arrendersi, mai smettere di combattere, bisogna solo continuare a “martellare“.

Keep Pounding, man…

SamMillsKeepPounding