The Perfect Season

Il 5 agosto di quarant’anni fa scendevano in campo contro i Detroit Lions, per la prima delle sei gare di preseason, i ragazzi che a tutt’oggi sono gli unici ad aver completato un’impresa straordinaria: la Perfect season, imbattuti dal kick off della prima giornata fino allo zero sul cronometro del superbowl.
Miami Dolphins, lo stupendo ed irraggiungibile 1972 dei ragazzi di Don Shula, quello rimasto head coach di Miami per 25 anni dal 1970 sino al 1995, una sorta di leggenda dalle parti delle Everglades, che viene ricordato soprattutto per quel mitico periodo iniziato l’anno precedente con la vittoria nell’AFC Championship ai danni degli allora Baltimore Colts, a cui successe la disfatta ad LA per il superbowl perso contro Dallas 24-3.
La stagione 1972 si preannunciava di nuovo interessante, nonostante una preparazione che aveva dato solo un record di 3-3 (sconfitte con Detroit, Green Bay e Washington). In effetti le prime gare settembrine con Kansas City e Houston filarono via con due vittorie, poi altre due a Minneapolis ed in casa Jets, fino ad arrivare sul 4-0 in casa con i Chargers dove la vittoria costò assai cara: la caviglia del QB titolare Griese fece cioc! e Miami si preparò ad una lunga parentesi senza di lui, sostituito da Earl Morrall, un ragazzino di 38 anni che aveva esordito in NFL quando Griese ancora andava alle scuole medie (1956) e che poi aveva girovagato tra San Francisco, Pittsburgh, Detroit, New York, per poi giungere ad un meritato Superbowl via Baltimore, vinto sostituendo egregiamente mica un tizio qualunque, ma un certo Johnny Unitas, fino a siglare all’età di 37 primavere un contratto riposante a Miami.
Di riposo in quella stagione, per il vecchio Earl, non ce ne fu poi molto. Vero che la franchigia puntava su un ottimo running game in cui Mercury Morris e Larry Csonka passarono le 1000 yards di corsa a testa, tuttavia Miami mise Morrall in condizione di lanciare per tutte le gare di campionato comprese le squillanti vittorie contro New England (52-0) e le due gare da ex con Baltimore (23-0 e 16-0), e di continuare la sua stagione eccellente con le gare di post season contro Cleveland ed a Pittsburgh, lasciando il posto a Griese per il superbowl.
La fortissima eco mediatica che suscitava l’attacco dei delfini, finì per creare la leggenda della sua difesa, la “no name defense” così ironicamente chiamata dai suoi stessi componenti per segnalare come non contassero i nomi per divenire una delle più arcigne difese della NFL, la migliore in assoluto di quell’anno, in una squadra in cui ben nove elementi furono selezionati per il Pro Bowl.
L’ultimo atto della stagione, al Coliseum di Los Angeles, vedeva però i Redskins favoriti, soprattutto per come si era composta la stagione regolare: Miami, per una serie fortuita di combinazioni, aveva incontrato dodici squadre con record finale negativo (sconfitte in numero pari o superiore alle vittorie) e solo due con record positivi ovvero Giants e Chiefs, entrambe con un misero 8-6. Tuttavia i Dolphins avevano ben in mente la sconfitta patita dodici mesi prima con Dallas e rimasero concentrati per una gara che li vide segnare un TD per quarto nei primi due, e mantenere inviolata la propria area di meta anche in maniera fortuita come l’errore del kicker Curt Knight dalle 32 yards e soprattutto il lancio dalle 10 yards di Kilmer per Jerry Smith in endzone, che colpì la traversa della porta e risultò incompleto, per poi vedersi intercettare il terzo lancio e lasciare a Miami il vantaggio del 14-0 sino ai due minuti dal termine quando l’inviolabilità dei Dolphins cadde grazie al comico field goal di Garo Yepremian, che consiglio a tutti di andare a rivedere su youtube perchè merita veramente.
Washington non riuscì a completare l’ultimo drive con zero time out e poco più di un minuto da giocare, Kilmer chiuse la gara con tre sanguinanti intercetti e Miami vinse, per ora unica a riuscirci, il superbowl da imbattuta. Semplicemente eccezionale.