Never Yeld. I Razorbacks del 1964

Fayetteville è un paesone che nel 1964 aveva poco più di 20.000 abitanti, in simbiosi con il suo maggiore datore di lavoro: l’Università dell’Arkansas. Quando iniziano le sessioni universitarie, la città cambia faccia, invasa da migliaia di studenti. Chissà come doveva essere alla fine dell’estate, quando stava per iniziare la stagione del football, in cui Arkansas ancora si divideva tra Fayetteville ed il War Memorial Stadium di Little Rock.

Frank Broyles era al settimo anno sulla sideline dei cinghiali, portandoli finalmente e continuativamente fuori dalla mediocrità che aveva contraddistinto i primi sessant’anni in cui la squadra era arrivata solo quattro volte in post-season, postando record a volte terrificanti e cambiando coach sette volte in quindici anni. Con Broyles, proveniente da Missouri, Arkansas aveva vinto la Soutwest Conference nel 1959, 1960 e 1961, la stagione 1963 tuttavia era apparsa in tono molto minore, con un record negativo in conference (3-4) ed i giornalisti apparvero poco fiduciosi, lasciando fuori i Razorbacks dalla classifica prestagionale stilata da AP risultava fuori dalle prime 15 posizioni. Il 1964 rappresentava comunque una incognita per tutto il college football, perché dopo più di un decennio la NCAA aveva ristabilito la possibilità di sostituzioni illimitate ad ogni azione, ponendo definitivamente fine all’epoca dei giocatori impiegati sia in difesa che in attacco, e aprendo la via al two-platoon system ed alla specializzazione estrema dei ruoli.

Al War Memorial Stadium, la stagione prese il via, come era uso da un triennio, con la sfida ai Cowboys di Oklahoma State. La gara fu tutt’altro che semplice per Arkansas, e lo striminzito 14-10 fu seccamente liquidato da Sports Illustrated così:

Arkansas Coach Frank Broyles long ago gave up the idea that his Razorbacks could overpower anyone. He just wants them “to sting people.” Quarterback Billy Gray, who was supposed to be “demoted” to defense, had a sharp needle ready for tough Oklahoma State. His slick running and passing led Arkansas to victory, 14-10.

La settimana successiva, la squadra si trasferì a Fayetteville dove doveva arrivare Tulsa, i ragazzi di coach Broyles ovviamente continuavano ad essere ignorati dalla stampa sportiva per quanto riguardava le ambizioni nazionali, anzi, come visto sopra, scherzavano sulle dichiarazioni ottimistiche dell’allenatore. La partenza non fu delle più facili perchè Tulsa, con il suo ispirato QB Jerry Rhome (20-26 alla fine) si portò 0-14 e occorse un intercetto del Linebacker Ronnie Caveness, per mettere il risultato al sicuro 31-22 e far si che si parlasse con maggiore rispetto di una squadra tutto sommato imbattuta. Sports Illustrated mise Arkansas tra le squadre “hot” del sudovest.

Ad ottobre iniziarono le gare di conference e i Razorbacks furono immediatamente chiamati a recarsi in Texas al Carter Stadium per scendere in campo contro TCU. Gli Horned Frogs venivano da due sconfitte con Kansas e Florida State, quale migliore occasione per affondare una concorrente nella SWC? Invece il QB Marshall condusse autorevolmente Arkansas con 12 completi per 148 yard ed il resto lo fecero due intercetti immediatamente convertiti in segnature, 29-6.

Fred Marshall al Cotton Bowl del ’64

La storia di Marshall è di quelle che fanno pensare “chissà come sarebbe andata se lui…?”. Se lui avesse sbattuto la porta, a due gare dal termine della stagione 1963, quando da junior al quarto anno aveva atteso pazientemente il suo turno per dimostrare il suo valore, ma era finito scavalcato da Gray e si era presentato da Broyles dicendogli che stava sbagliando tutto e che lui, per questo, era incazzato nero e alla fine dell’anno se ne sarebbe andato lasciando la squadra. Broyles poteva sbatterlo fuori a calci nel sedere, ma spiegò le sue motivazioni, perchè aveva scelto prima Gray, poi spostato a cornerback, e poi Jon Brittenum, apprezzò il fatto che Marshall volesse comunque onorare la stagione lavorando sodo, e lo schiaffò in campo contro TCU, rimediando però una sconfitta. In Locker Room, nonostante l’esito infausto della gara, si avvicinò a Fred e gli disse che se tornava, sarebbe stato il QB titolare.

Nella sua autobiografia, Broyles rivive quei momenti senza nascondersi, scrivendo che se avesse scelto prima di schierare di nuovo Marshall, la stagione 1963 non sarebbe stata così deludente, praticamente la peggiore di Arkansas con lui come coach. Marshall infatti condusse i cinghiali alla vittoria contro Texas Tech nell’unica gara SWC del weekend successivo alla morte di John Kennedy, e si ripresentò l’autunno 1964 per riprendere da dove aveva lasciato, e tra le prime battaglie vinte ci fu la vittoria su TCU tanto per mettersi in pari con l’anno prima, e riportare finalmente Arkansas nel ranking, come #9.

A Little Rock, la settimana successiva a quella vittoria contro gli Horned Frogs, era programmata una delle sfide più interessanti della week di college football, ovvero la gara contro Baylor. La squadra di Bridgers veniva dalle sconfitte con Washington e Oregon State, e fece l’errore di cadere nella trappola difensiva preparata da Broyles: tre intercetti e tre fumble recuperati, scavarono il solco del 17-6 che lasciò ancora una volta imbattuta Arkansas in attesa di andare, il 17 ottobre, al Memorial Stadium, per giocare contro la capofila del ranking nazionale, Texas.

Si sfidavano due scuole storicamente bianche, l’integrazione era lungi dall’arrivare: nel 1970, l’anno dopo un altro famoso Arkansas vs. Texas, ai Razorbacks arrivò il runningback Jon Richardson; ai Longhorns giunse Julius Whittier.

Ken Hatfield

La gara fu intensa, emozionante, degna di due squadre ancora imbattute e con grandi ambizioni. Nel secondo quarto, a poco più di 5′ dall’intervallo lungo, il punteggio venne sbloccato da un elettrizzante  ritorno di punt di Ken Hatfield che effettuò la presa sulle sue 19 e la portò fino alla endzone arancione per il vantaggio ospite. Il terzo quarto a tabellone inalterato, spianò la strada ad un ultimo quarto spasmodico, aperto dal pareggio di Texas con una corsa di Harris dopo un drive piuttosto lungo, durato quasi sette minuti. Arkansas non riuscì ad imbastire un drive per rispondere e fu costretta al punt che cadde sulle 40 avversarie, ma un uomo di linea dei Longhorns si avvide tardi di dover uscire ad arrivò una penalità che lasciò palla in mano ai cinghiali.

Lo scampato pericolo invertì l’inerzia della gara, Arkansas in 12 snap chiuse le 75 yard con un passaggio di Marshall per Bobby Crockett da 34 yard, riportandosi avanti 14-0 dopo la trasformazione di McKnally. Mancavano 6’43”. Texas rispose come voleva Royal, senza regalare palla ad una squadra arcigna e vigile in difesa e sicura in attacco, trascorsero quasi 5 minuti, 16 snap ed infine Ernie Koy corse in endzone per il 13-14, in attesa della trasformazione.

Cosa differenzia le squadre di campioni dalle squadre e basta? La sicurezza in quello che fanno, Royal lasciò in campo l’attacco e diede indicazioni per giocare una trasformazione da due punti. Voleva vincere e basta. Passò l’ennesima scarica di adrenalina per gli oltre 65.000 del Memorial, quando Kristynik cercò l’Halfback Hix Green durante il suo tredicesimo tentativo. Il tredici porta male, dicono alcuni, in realtà fare passaggi troppo bassi porta sfortuna: la palla cadde a terra, incompleto. Un silenzio di tomba scese ad Austin, era dal 18 novembre del 1961 che il sacro rettangolo non veniva violato: erano stati dei piccoli errori, delle sbavature, quelle che avevano permesso agli ospiti di battere la squadra di Royal, ma di fatto i Razorbacks stavano scucendo il titolo nazionale dalle jersey di Texas. Broyles fu onesto nel dopogara:

“In a game between two good teams, something like Hatfield’s return has to happen to give one of them that something extra. It carried us in the second and third quarters when we made only one first down. Before the game we thought we could win if we could get some mistakes from Texas, no matter how small. We barely got them, and we barely won.”

Ma lo scucire i titoli altrui, non fu l’unico effetto di quella gara. Arkansas cementò una consapevolezza dei propri mezzi, ed una ferocia, che si mostrarono con effetto dirompente già dalla settimana successiva, quando da #4 del ranking AP Poll ospitarono e sconfissero Wichita State 17-0 per il primo shutout della stagione, con un TD pass di Marshall ed uno fatto con le proprie gambe. La vittoria non cambiò nulla per quanto riguarda il prestigio di Arkansas, diverso si pensava sarebbe stato il discorso per l’ultima gara di ottobre, programmata il 31 al Kyle Field di College Station, contro Texas A&M guidata da Hank Foldberg, ancora senza vittorie, ma con una rivalità storica da onorare. Invece non fu per nulla diverso, anzi, fu esattamente come per Wichita State, 17-0, maturato tutto prima dell’intervallo lungo e poi gestito per far salire il record a 7-0.

Il 7 novembre contro Rice, a Fayetteville pioveva. Il gioco imperniato su Marshall, prevedibilmente risultò contenuto, ma furono le corse di Jack Brasuell (121 yarde in 26 portate)e Bobby Burnett, ma soprattutto la nuova maiuscola prova della difesa, che chiusero la porta in faccia agli Owls 21-0. Impossibile non far scalare posizioni a una squadra che concludeva il terzo shutout di fila, ed impossibile rimanere indifferenti alla piallata 44-0 che la squadra di Broyles rifilò a SMU al Razorback Stadium il 14 novembre, un ritorno di punt di Hatfield da 78 yard e il solito gioco concreto mixando passaggi e corse, furono il regalo per i Mustangs. Arkansas giunse all’ultima gara di stagione a Jones Stadium contro Texas Tech, che parve tenere il campo, costringendo gli ospiti al riposo lungo sullo 0-0. 

Poi Coach Frank Broyles decise di forzare Tech ad allargare la difesa spedendo gli end in formazione spred e chiedendo a Fred Marshall di lanciare verso le tracce in sideline. Funzionò splendidamente, tanto che il tailback Bobby Burnett potè correre tra i tackle portando Arkansas avanti, il capolavoro terminò con Jerry Lamb che in tuffo acciuffò un passaggio di 28 yard di Marshall in endzone. Un nuovo 17-0, un nuovo shuout, il quinto a fila.

Al termine della stagione regolare, l‘Associated Press rilasciò il suo ultimo poll, quello che determinava il campione nazionale. Nulla da fare per Arkansas, i giornalisti premiarono ancora Alabama, a cui venne consegnato il trofeo di AP, oltre alla possibilità di andare a giocare l’Orange Bowl contro Texas. Arkansas, pur concludendo una stagione regolare da 10-0-0 con cinque gare in cui aveva lasciato gli avversari a zero, ed una media punti subiti di 5,7 finì seconda sondaggio finale di AP, nelle parole rilasciate all’El Dorado Times, Broyles aveva erroneamente trasudato ottimismo:

“We feel that we have a team worthy of the national championship and we’re just waiting for the results,” he said Sunday night. Broyles said he thought Arkansas had as much chance as Alabama, He said he knew persons voting in the polls realized the importance of picking a national champion, and said he was sure they would seriously study all the teams Arkaasas has never held a No. 1 rating. “This is a once-in-a-lifetime opportunity for Arkansa s,” Broyles said. He said he was nervous about this week’s poll and would stay that way until the ratings came out. He predicted bedlam among Arkansas fans if the Porkers should reach the top. “They’re the greatest fans in the world, anyhow”

L’amarezza lasciata dall’ultimo poll fu solo in parte mitigata dalla prospettiva di essere proclamati campioni nazionali da altri poll minori che attendevano l’esito dei bowl.

Jim Lindsay

A Dallas, al Cotton Bowl si sfidarono Arkansas e Nebraska, fu una gara giocata sotto un cielo grigio, dove i Razorbacks segnarono immediatamente con un field goal e poi diedero l’impressione di poter ammazzare gli Huskers definitivamente di lì a poco, ma la difesa di Nebraska uscì dal torpore grazie a diversi (inusuali) errori dell’attacco dei cinghiali. La segnatura di Nebraska, per un risicato 7-3, fu diretta conseguenza di questa titubanza. Ma ci fu tempo, sufficiente tempo, per il quarterback Fred Marshall che completò ben cinque big pass (i due più importanti all’Halfback Jim Lindsey) ed a guidare la sua squadra per un eccezionale drive da 80 yard fino al touchdown della vittoria, 10-7. Poi veloci festeggiamenti e tutti davanti alla televisione per aspettare l’Orange Bowl a Miami, dove Alabama, che aveva conteso e fatto suo il titolo nazionale per AP e UPI, sfidava gli arcinemici di Texas.

Inaspettatamente, e crudelmente, Alabama subì più punti a Miami di quanti ne avesse subiti in tutta la stagione, gli eccellenti Longhorns misero in campo una difesa muscolare e trovarono la segnatura su due pazzesche giocate: un lancio da 69 yard e, ben peggio per la difesa di Bryant, una corsa da 79 che lasciò sbattezzati tutti i (tanti) pronosticatori di Alabama vincente. Per Texas, la vittoria fu quella dell’orgoglio, per Alabama la sconfitta fu in un certo senso indolore, dati i premi già portati a casa. Per Arkansas una forte conferma di quanto i poll avessero sbagliato: come disse Broyles,  “I certainly consider us No. 1“.

Il sistema dei poll fu messo in crisi durante quel 1964, già rivoluzionario per il reinserimento del two-platoon system. Il fatto che a fine anno fosse stato premiato un college con un record peggiore di quello della seconda nel ranking fece decidere un cambio di programma ad Associated Press, che per il 1965, e poi definitivamente nel 1968, introdusse il poll finale dopo il periodo dei Bowl. UPI invece rimase ancorata al poll pre Bowl fino al 1974. I Bowl diventarono a tutti gli effetti parte integrante della stagione e delle dinamiche per l’assegnazione del titolo.

Per Arkansas quell’ultima prova al Cotton Bowl, al di là di quello che decisero AP ed UPI, rappresentò il punto più alto della sua storia, a tutt’oggi ineguagliato, raggiunto continuando a rincorrere l’obbiettivo fino all’ultima gara.

Never yeld.