Joe Namath

Ispirato da Pawtucket Patriot di Endzone.it sono andato a riprendersi un po’ la storia del Super Bowl III del 1968 vinto dai NY Jets con quello che molti ritengono la più grande sorpresa sportiva nella storia dello sport a stelle e strisce subito dopo la finale USA-URSS di hockey alle olimpiadi invernali di Lake Placid nel 1980.

Il contesto storico avrebbe bisogno di un’enciclopedia tutta sua, in cui snocciolare ogni singola vicenda che aveva portato alla formazione della prima vera lega in grado di concorrere con la NFL in maniera accettabile, la AFL, e di come si era mossa la NFL a riguardo, confidando nella sua storia scritta da dinastie come i Green Bay Packers del mai troppo rimpianto VInce Lombardi o dei Baltimore Colts del ragazzo baciato da Dio, Johnny Unitas.

La AFL aveva aggredito spazi di interesse con squadre che oggi ci sembrano già storiche come i Patriots (allora ufficialmente a Boston), i Denver Broncos, i Los Angeles Chargers (e vabbè, chi è che non ha fatto qualche stagione a LA suvvia…) ed i New York Jets, ma il divario pareva ancora difficilmente colmabile specialmente dopo i primi due traumatici Super Bowl dove Green Bay aveva semplicemente maciullato Kansas City e i Raiders.

Che pensare se non “altra carneficina” quando per il SB III si presentarono da una parte una corazzata come i Colts che nel NFL Championship aveva vaporizzato i Browns 34-0 chiudendo la stagione con un record di 13-1, dall’altra New York… ma chi, i Giants? No quegli altri, i cugini sfigati, quelli verdi, quelli che hanno quel tizio lì che al college era forte. Ma adesso, dai, dall’altra parte c’è Unitas, uno che letteralmente ha cambiato la concezione del quarterback, lanciando in TD per 47 partite di fila in un’epoca in cui il lancio era già una opzione secondaria rispetto alla corsa, figurarsi un lancio diretto in TD. Uno che ha scritto statistiche cancellate solo cinquant’anni dopo, uno che ha giocato gare che hanno trasformato la NFL nella lega sportiva con cui l’America meglio si identifica, forse per chi non è addentro è persino difficile spiegare cosa significa per il football Unitas, tanto che in alcuni momenti, forse sono stati la stessa cosa.

Namath, beh, il tempo ha distorto le cose, trasformando la crescita sportiva di un giocatore viveur, in una esplosione fantastica di un misconosciuto alla corte dell’imperatore Unitas. Non stavano così le cose, si parla di un ragazzo che alla fine dell’High School era braccato dai recruiter e che, dopo essere stato scartato da Maryland perchè aveva voti troppo bassi, era stato acchiappato ben volentieri da Bryant ad Alabama, una scelta che lo stesso coach aveva definito come  “the best coaching decision I ever made.”

Al College era stato un grande, Bryant sosteneva che fosse il miglior atleta che avesse mai allenato, nel 1964, ultimo anno prima della chiamata nei pro, Namath portò all’Orso il campionato nazionale. Al college però aveva iniziato quel percorso di formazione umana che lo aveva portato alla difesa dei diritti civili degli afroamericani in una terra segregazionista come l’Alabama.

Dopo aver scelto i Jets in AFL (ed i loro 400 e rotti mila dollari a stagione) piuttosto che i Cardinals in NFL, fu rookie of the year nel 1965 e fu il primo QB professionista a passare le 4000 Yard a stagione nel 1967, liquidando i Raiders campioni in carica AFL, aveva portato i Jets al loro primo Super Bowl.

Si, è vero: a Namath piace godersi la vita: macchine, vestiti, donne, drink, club. E considerando che non era l’epoca di Balotelli e della Fico, questo aspetto della sua vita era guardato piuttosto male dall’opinione pubblica, ma a quanto pare Namath sapeva cosa stava facendo, come quando gli chiesero al Touchdown Club, se fossero veramente spacciati contro i fortissimi Colts.

“We’re going to win Sunday. I guarantee it.”

Si vabbè ma era sbronzo. Sbronzo si ma ebbe ragione. Non che vinse la gara da solo, tuttaltro: una gara dura e tirata in cui i Colts diedero sfoggio di una catasta di errori e buttarono nella mischia un malconcio Unitas solo nel second half, il running game di New York, la guardinga precisione di Namath ed i sanguinanti quattro intercetti accumulati da Morrall (3) e Unitas (1) scavarono il solco, solo il touchdown di Hill a pochi giri di lancetta dal termine rese meno amara la sconfitta dei Colts frutto di una metà di Sneal e tre field goal.

Tuttavia lo stile leggero di Namath vinse e scolpì la storia di questa lega, che si trovò al centro dell’attenzione anche di fasce d’età giovanili che prima erano attirate solo dal college football.

Un commento molto calzante cita  “L’idea di vedere questo capellone che tanto assomigliava a Jimmy Page, Keith Richards e Ringo Starr vincere (e soprattutto avere la faccia tosta di predire) il SB contro una squadra ampiamente favorita che ovviamente rappresentava il sistema, il vecchio, tutto ciò contro cui i giovani si battevano alla fine degli anni ’60, fu qualcosa che portò gli hippie (ovviamente i meno “bruciati”) a rivedersi in uno sport come il football una volta che essi capirono che era arrivata l’ora di crescere, inoltre da non sottovalutare sono anche i germi di un pubblico femminile attirato inizialmente da giocatori come Namath che quindi ha tutto il diritto di arrogarsi il diritto di essere la prima superstar moderna dello sport americano, rifletteteci la prossima volta che vedete la famosa foto di Namath in panchina col montone bianco, e oltre a pensate ‘Che cazzone era questo qui!!!’.”

Any given sunday anyone can beat anyone.

Joe Namath non era il signor nessuno quando scese in campo per vincere il suo primo ed unico Super Bowl, ma di certo quello che ha compiuto, e come lo ha compiuto, manda in soffitta tutta la sua precedente esistenza per consegnarcelo come l’uomo che, a tutti gli effetti, ha cambiato il football.