95%: la cicatrice di D.J. Hayden

La vena cava inferiore è una specie di cuore: ha un sistema propulsivo costituito da una fascia muscolare che la avvolge e che è in grado di far defluire il sangue dal basso verso l’alto, questa fascia determina la sezione della vena che arriva fino a quasi 4 centimetri di diametro. Casi di rottura di questo vaso sono rari, sia per la sua posizione, sia per la sua costituzione. Tuttavia può capitare in caso di traumi molto forti: il 50% dei pazienti che subiscono la rottura della vena cava inferiore muore prima di arrivare in ospedale. La maggior parte di chi ci arriva, muore poco dopo nonostante le cure mediche.

Derek Sherrad Hayden stava facendo una buonissima stagione da Senior per gli Houston Cougers: capitano della difesa, stava bissando l’ottima stagione da junior che gli era valso il titolo di Newcomer of the Year per la Conference USA, ed il posto nel second team dell’All-Conference. Di piedi particolarmente svelti, si era fatto notare per la capacità di copertura anche fuori dal proprio slot di competenza e per la rapidità nel cambio di direzione, oltre alla abilità nel blitz dal lato cieco del QB. Se gli si voleva trovare un difetto, si doveva guardare alla struttura fisica non imponente, che secondo gli esperti gli precludeva la possibilità di divenire un elite prospect.

“DJ” Hayden si stava allenando assieme ai compagni della University of Houston, il 6 novembre 2012. Un lancio lungo ed il cornerback va sulla palla non rendendosi conto che un compagno da posizione di safety sta facendo esattamente la stessa cosa. L’impatto di due ragazzi di novanta chili, pur bardati di tutto punto è tremendo e Hayden finisce a terra dopo essersi ritrovato il ginocchio del compagno sulla cassa toracica.

Lo staff medico dei Cougars lo controlla immediatamente e avverte l’arrivo di uno stato di shock con relativa diminuzione dell’ossigenazione di organi e tessuti, Hayden inizia a perdere temperatura e conoscenza.

“It was a regular day at practice. We were doing team vs. scout team. They threw the ball my way. Me and the safety ran into each other. His knee hit me in my chest. I fell to the ground. It felt like I got the wind knocked out of me. When I was breathing, I just wasn’t breathing right.”

Immediatamente trasportato all’ospedale, con i parametri in peggioramento, viene diagnosticata una fortissima emorragia interna, anche se inizialmente si pensa a fegato o milza, perchè la lacerazione della vena cava inferiore è talmente rara ed improbabile che durante gli studi medici, si impara a tenere come ultima ipotesi.

Per i medici non esistono altre opzioni che un intervento urgente ed estremamente invasivo, per chiudere la lacerazione da cui proviene tutto quel sangue: tagliare a metà la cassa toracica, affondare le mani in una marea di sangue rosso scuro, scoprire non senza stupore che è quel grosso tronco di vena che è lacerato, trovare la falla, chiuderla, suturare quello che è stato definito “carta velina bagnata” per quanto è stato difficoltoso, e sperare che almeno quella prima parte andasse bene.

Pregare, tanto, tantissimo, come ha fatto la madre di Hayden, Tori.

Un lungo taglio che attraversa il torace di pelle scura dall’alto verso il basso, un taglio che interessa lo sterno, che espone la cavità toracica immersa nel sangue, all’intervento dei medici.

La vena cava inferiore, quella che pompa il sangue di metà del corpo umano, quel vaso enorme.

Rotto, lacerato, strappato, aperto, che sversa sangue all’interno del corpo di un ragazzo che giocava a football.

La lacerazione della vena cava ha circa il 95% di mortalità.

La lacerazione della vena cava è, a tutti gli effetti, una specie di sentenza di morte. La pressione che esercita sul sangue venoso fa sí che questo affluisca al cuore che lo spinge ai polmoni per riossigenarlo e mandarlo al resto del corpo, una sua interruzione significa non solo una gravissima emorragia ma anche la difficoltà ad irrorare organi come fegato e reni.

E il cervello.

Quell’unità così delicata che soprintende tutto, quell’unità così fondamentale per tutti noi semplici esseri umani, figurarsi per un ragazzo che ambisce a diventare un giocatore professionista in uno sport dove la forza fisica sembra tutto ma in realtà è solo una parte di quello che serve.

Alla fine Miracle Baby, come è stato soprannominato dalla madre evidentemente commossa durante un’intervista rilasciata a ESPN, si è svegliato, ed ha cominciato un delicato percorso fatto di una sola certezza, ovvero l’essere ancora vivo, sebbene con 24 libbre, quasi undici chili, in meno nel corpo.

“At first I could barely sit up, I couldn’t lift my shoulders. . .I could barely walk. My back was hunched over. It took me forever to sit up straight. The first couple days I was really depressed. I thought I’d never play football again. . .there was always doubt in my mind.”

La depressione ti colpisce per forza quando sei ad un passo dal tuo sogno di ragazzo che fa sport, ed un gravissimo infortunio ti azzera non solo i sogni ma anche la vita. Poi però la differenza la fa la determinazione e l’amore per quello che fai: aiutato dallo staff dei Cougars, Hayden a distanza di 19 settimane da un trauma che la stragrande maggioranza dei medici non vede in tutta la propria vita lavorativa, si è presentato al Cougars Pro Day realizzando numeri sicuramente inferiori a quando gli esperti lo davano tra i 100 migliori giocatori della NCAA, ma dando sfoggio di una determinazione che pochi hanno.

Questo deve aver colpito molto anche i dirigenti di Oakland che, facendo una enorme ed azzardatissima scommessa, hanno deciso di sceglierlo al primo giro (12mo assoluto) del Draft 2013.

Come dice Tom Rinaldi, nel bel video realizzato da ESPN per il Draft, ogni cicatrice è una storia, ma è anche una linea che segna il confine tra il prima ed il dopo, tra il sogno ed il miracolo.