Ti odio, Bill.

Ormai la gara è finita, a Foxborough stanno facendo la pausa caffè di metà mattina ed il Victory Monday allieta le coste del New England.

E’ ovvio che mi scocci, se non si fosse capito.

Da quando seguo il football è la seconda volta in cui le squadre che sono chiamato a seguire con affetto perdono di misura, successe con Green Bay a Seattle, è successo con Jacksonville a New England, ma se all’epoca la rabbia pervase il sottoscritto (fu la famosa gara di Brandon Bostick), oggi c’è qualcosa di diverso, di strano, una specie di vuoto difficilissimo da riempire con sentimento, non semplice nemmeno col ragionamento.

Dev’essere ancora il cosiddetto “Effetto Jaguars Fan” che porta a pensare che siamo una squadra di secondo piano, che dopo ogni exploit rischia di tornare a fare stagioni da 3-13 litigando col coach, cambiando settemila offensive coordinator e distruggendo valanghe di prospetti di belle speranze. Che ogni occasione persa significa anni ed anni di purgatorio prima di rivedere le stelle.

Il Felpa nella stagione delle piogge

E questo è piuttosto curioso per chi vedeva pure quest’anno il purgatorio, in chi pensava facessimo 6-10 al posto del 10-6 finale. In realtà a vedere le cose con un occhio il più possibile equilibrato, Jacksonville ha semplicemente costruito la squadra giusta un paio di anni troppo presto, quando ancora ci sono in circolazione il Felpa e Big Raper e vincere un AFC Championship significa dover fare una sfilza di miracoli che nemmeno Padre Pio alle olimpiadi dei Taumaturghi.

Questo ci porterà consapevolezza e capacità di non cadere nell’errore in cui avevamo fatto cadere gli avversari non più tardi di una settimana prima (vi ricordate i meme sulle due settimane di bye di Pittsburgh?). Questo eviterà di doversi sorbire quarti quarti in cui la squadra sembra la scialba sorella di quella dei primi tre, e costringere l’attacco a vincere le partite quando ancora nel DNA non ce l’ha stampato.

New England ha sfruttato le incertezze e gli errori di gioventù di chi non era abituato a giocare certe gare, con certe pressioni sopra, con certi avversari (convertire i 3&18 sono cose che si vedono fare con consapevolezza da cinque? Sei? Sette QB tra tutti quelli di NFL, forse) ma soprattutto contro certi coach… o forse quel coach, che infesta i miei incubi peggiori e che, in un moto di ostilissima ammirazione accomuno a quei geni dell’arte povera degli anni ’60 che usavano gli scarti produttivi e creavano capolavori.

Bill Belichick (fonte: Goosy) ha giocato in attacco con Cameron Fleming, il terzo tackle destro in depth chart; Dion Lewis, un journeyman che in NFL non ha mai trovato spazio; Chris Hogan, non abbastanza bravo da meritarsi di rimanere nei Bills; Danny Amendola scartato dai Rams, Rex Burkhead che ai Bengals guardava gli altri giocare. Niente Julian Edelman, Niente Rob Gronkowski per metà partita. In linea difensiva Adam Butler undrafted, Lawrence Guy lasciato andare via da Baltimore, Ricky Jean Francois journeyman NFL senza fissa dimora da due anni. Una linea dei LB fatta da Marquise Flowers che forse faceva special team ai Bengals, Kyle Van Noy che a Detroit scaldava la panca e James Harrison il cui passatempo era diventato farsi i video mentre lancia copertoni da trattore.

Qualsiasi squadra NFL con questi giocatori sarebbe finita 7-9 forse, non NE. Questo è l’aspetto da guardare, non le penalità fischiate o meno, ma la motivazione da dare a giocatori che altri hanno ritenuto non all’altezza.

Apprezzo infatti infinitamente le scelte del nostro coaching staff che ha costruito un roster aggressivo e giovane, e che nel bene e nel male ha sfruttato al meglio il ragazzo che abbiamo nel ruolo di QB che ha trovato in questi ultimi anni così tante difficoltà. Ci siamo presentati al Gillette con due undrafted, Allen Hurns e Corey Grant, a fare da main target. E’ l’aria che si respira e la mente che muove i giocatori a determinare la resa dei giocatori stessi e, ieri sera, abbiamo semplicemente trovato una squadra in cui si respira dell’aria ancora migliore della nostra, che ha saputo trovare soluzioni per rendere inutile la nostra superba macchina da intercetto. Sta a noi fare meglio di loro e di tutti gli altri quando si ripartirà da 0-0-0, facendo la nostra parte nella rigenerazione a basso costo di giocatori considerati inutili come Dareus o Pryor, o incontrollabili come Westbrook o Fowler, la crescita di undrafted capaci di riempire spot importanti come l’intero reparto safety (tutte e quattro UDFA), o la linea composta da due UDFA, un primo giro e due terzi a starter, ed il resto da UDFA.

Siamo in costruzione ma abbiamo fatto paura all’Impero del Male, questo non può che renderci ottimisti.

Si ok vabbè, ma intanto al Super Bowl ci va New England. Se non l’hai capito, ti odio, Bill.