Un nickname può essere offensivo?

Nell’America divisa tra le sue tante contraddizioni, che spesso ama cibarsi dei falsi moralismi, l’ultima trovata per impegnare parte dell’opinione pubblica mentre il paese è sull’orlo di un default storico, è quella di dare risalto ad una battaglia che va avanti da quest’estate e che sembra arrivata ad una sorta di conclusione, ovvero quella che riguarda il nickname Redskins, da tempo finito nell’occhio del ciclone perché considerato offensivo verso i discendenti dei nativi americani.

Redskins LogoAd accendere nuovamente i riflettori sulla questione il convegno organizzato dalla Oneida Indian Nation per promuovere la loro campagna “Change the Mascot”, in programma questa settimana e al quale sono stati invitati i vertici della National Football League, per proseguire un discorso che dovrebbe essere già stato affrontato ieri nella consueta riunione annuale dei trentadue owner, giunti proprio nella capitale per l’evento.

Invito che non sembra però essere stato accolto dai proprietari, come ha comunicato il portavoce della lega Brian McCarthy, che ha annunciato come sia previsto un incontro a breve, probabilmente il prossimo mese, ma non di certo in questi giorni, chiarendo, inoltre, che c’è la disponibilità da parte della NFL di ascoltare tutti i punti di vista e vagliare le possibili opzioni.

Di diversa natura la posizione di Bill Snyder, che dopo aver indetto un sondaggio nel quale i 4/5 delle persone partecipanti hanno ritenuto non offensivo il nickname della franchigia capitolina, ha confermato in più occasioni di non aver alcuna intenzione di cambiare il nome al team da lui presieduto, dichiarando, altresì, che farà di tutto per far valere le sue ragioni.

La discussione sta però ovviamente tenendo banco da settimane, tant’è che una domanda in merito è stata posta anche in una recente intervista rilasciata dal presidente Barack Obama, che ha dichiarato di aver pensato di chiedere all’entourage degli ‘Skins di effettuare questo cambiamento, andando quindi a cancellare uno dei nomi più storici del football made in USA.

fighting-sioux-logoSulla scia di queste parole ha rincarato ulteriormente la dose Ray Halbritter, portavoce della Oneida Indian Nation, che ha evidenziato come, secondo la stessa organizzazione da lui rappresentata, “l’epiteto” Redskins sia ormai da considerarsi un termine obsoleto nonché un segno di una divisione e un odio che fa parte del passato”.

Per quanto “antico” e ormai “fuori moda”, resta da capire cosa ci sia di così terribilmente malvagio e razzista nell’abbinare il nickname Pellerossa ad una squadra sportiva, ambito in cui si sono innumerevoli esempio di nomi simili, soprattutto negli States, dove non sono pochi i team, anche a livello professionistico, a ricondurre alla storia dei nativi americani.

Come ha fatto notare qualcuno, d’altronde, nella stessa NFL ci sono i Kansas City Chiefs, per non parlare della Major League di Baseball, dove oltre ai famosissimi Cleveland Indians ci sono anche gli Atlanta Braves, e la National Hockey League, nella quale militano i Chicago Blackhawks; una scia che prosegue poi anche nel mondo del college, partendo dai Florida State Seminoles fino ad arrivare agli Utes, di Utah, ai Fighting Sioux, di North Dakota, e agli Illini, nickname assunto dall’università dell’Illinois per celebrare il legame con i primi abitanti dello stato.

Un insieme di titoli e nomi che più che sembrare un insulto verso quella popolazione che aveva animato e ravvivato le immense praterie del nordamerica, pare esserne più un modo per tenerne vivo il ricordo, per esaltare le gesta di quei grandi guerrieri amanti della natura che avevano lottato fino all’ultimo per una sola cosa: la libertà. D’altronde nella nostra testa, nelle immagini che ci sono apparse davanti per anni sugli schermi televisivi, tra le pagine dei libri che abbiamo letto, i grandi Sioux, i Cherokee, i Comanche, solo per citarne alcuni tra i più famosi, li abbiamo sempre identificati più genericamente come Indiani o Pellerossa, come fossero un tutt’uno, e non divisi tra lotte intestine tra tribù, come nella realtà sono stati.

Noles LogoE’ vero, certamente il termine pellerossa, decontestualizzato, assume la stessa gravità di un nero o giallo riferito ad altre popolazioni, e certamente c’è anche chi, al di là dell’Oceano, lo utilizzerà come un insulto per additare chi non porta il suo stesso colore di pelle, ma credo, sinceramente, che se ci fermiamo un attimo a pensare, nel gridare un “Go ‘Skins” o un “Go Redskins” a squarciagola, non ci sia nulla di assolutamente razzista, anzi.

La cosa strana, è che a pensarla come il sottoscritto, sia anche la maggior parte dei nativi americani, come riportato da Lenny Davis, un avvocato che sta seguendo il caso per contro del Governo; il dato estrapolato dalle indagini condotte dallo Stato, ha infatti evidenziato come sia solo una minoranza a sentirsi profondamente offesa dal nome utilizzato dalla franchigia capitolina e non l’intero movimento, come invece vorrebbe far credere la già citata Oneida Indian Nation.

A quest’ultima andrebbe chiesto, tra le altre cose, se non abbia anche pronto un progetto per far cambiare il nome ai Cowboys; in un clima di persecuzione latente cui ci ha abituato il mondo in generale, in questi ultimi anni, dove ogni pretesto è buono per rivendicare un qualsivoglia torto, non ci sarebbe infatti da stupirsi che un gruppo che si senta in qualche modo oltraggiato da uno dei giochi più popolari della nostra infanzia, quello in cui ci fronteggiavamo, magari sognando proprio di cavalcare sul dorso di uno di quegli splendidi destrieri, suddivsi tra Indiani e Cowboy, si faccia avanti per avanzare una qualsiasi pretesa.

E non mi vengano a dire che c’è qualcosa di male ad impersonare un pellerossa pure li. Go Skins!