L’ultimo coriandolo

L’ultimo coriandolo si è posato a Houston.

Finito il Super Bowl, probabilmente uno dei migliori di sempre; finita la NFL 2016, non una delle migliori di sempre; finito il football per quest’anno.

Si appendono i paraspalle ed i caschi, non ci sarà più nulla di paragonabile per diversi mesi, e non sarà l’hockey o il baseball o il basket a regalarci le medesime sensazioni di gare che sembrano chiuse e non lo sono, di momenti che stravolgono l’inerzia delle partite, di sforzi atletici che trascendono la miglior immaginazione.

Ciao football, mentre qui si litiga per un rigore. Ciao e al più presto rivederci, perché pur nella tua imperfezione e nella tua pericolosità, pur contemplando giocatori umanamente riprovevoli e di una stupidità imbarazzante, rimani quello che dà le sensazioni più brucianti, quello che fa lasciare di più a bocca aperta, quello che fa uscire le imprecazioni più blasfeme dalla mia bocca.

E dio sa quante ne ho dette, perché non è un mistero che questo finale di stagione, a partire dai Championship, non è che sia proprio andato come avrei voluto. Ma in fondo chi se ne importa se lo si guarda appena con un occhio un po’ più distaccato, apprezzando il gioco per quello che è, ed i giocatori per quello che riescono a compiere.

Si perché il football è uno sport che può praticare più o meno qualunque taglia, ma che mentalmente è fatto per poche persone, a questi livelli. Ne abbiamo avuto una prova stanotte, quando una squadra che sembrava spacciata ha tirato fuori le energie psicologiche necessarie ed ha rivoltato come un calzino la gara, spostando repentinamente il baricentro della leva e dimostrando, se ce ne fosse ulteriormente bisogno, che le partite di football finiscono solo quando il cronometro è 00:00 e quando la palla è morta.

Mai mollare i “centimetri” di stoniana memoria (chissà quanti hanno provato a ripetere un discorso del genere alla propria squadra, finendo a scimmiottare Al Pacino in maniera tragicomica), mai pensare che la partita è chiusa, mai dimenticarsi che la palla non è rotonda e che gli uomini non sono robot, non sono veri pezzi da scacchiera in un gioco che tante analogie con gli scacchi ha.

Ma ora i playbook vanno in soffitta, ora viene il tempo di bilanci fatti davanti ai video delle gare passate e di speranze fatte davanti ai video degli scouting, tutto quel fantafootball che serve (poco) a chi dovrà passarsi sei mesi senza le sportellate, gli spintoni e le prese impossibili in tripla copertura. Si perché il football, che ci fa diventare isterici, ha scelto non di dilatarsi verso tutte le possibili stagioni dell’anno (dice qualcosa ai tifosi di sport dal nome simile?) ma di autocontenersi in stagioni talmente brevi che attraversano la nostra vita come lampi e danno quel senso di “ora o mai più” ad ogni giocata che solo gli appassionati hanno avuto modo di sentire.

I coriandoli hanno finito di posarsi, onore ai Pats, onore ai Falcons, grazie a chi ci ha fatto passare questi weekend insonni compiendo gesta da moderni eroi, in uno sport che si avvicina così tanto ad una vera battaglia, e forse anche per questo riesce a farsi tenere incollati addosso così tanti occhi, in attesa che succeda qualcosa di splendido o di tragico.

Onore anche a tutti i ragazzi italiani che con la loro passione e con i loro lauti stip… ah no, è vero, lo fanno gratuitamente!, scrivono e parlano di football su siti, blog e canali video/audio tematici, e magari si pagano pure le trasferte a Londra per le International Series. Senza di loro il football sarebbe un po’ meno comprensibile, e lo sentiremmo un po’ meno vicino.

Prosit!