Art Briles, dalla tragedia al successo

Uno degli aspetti più belli appartenenti alle storie sportive è sicuramente rappresentato dall’ispirazione. Capire da dove nasce un successo, che cosa motiva una persona, una squadra, un’intera organizzazione, quali sono gli obbiettivi da raggiungere e per quale motivo li si cerca di ottenere. Sono situazioni sempre differenti, si sa, e gli Stati Uniti non fanno eccezione, anzi, insegnano. E sono sempre generosi quando si tratta di scovare storie del tutto particolari, che spesso si incrociano con lo sport e che sovente lasciano delle emozioni particolari, date dal contrasto che si crea tra un evento particolarmente doloroso seguito da uno che regala una felicità immensa. E tali emozioni sono vere, al contrario delle lacrime che si vedono un po’ dappertutto in show televisivi che ognuno di noi dovrebbe avere la decenza di lasciar perdere una volta per tutte.

Art Briles ha sofferto un sacco nella vita, e probabilmente non smetterà mai di farlo. Poco conta che i Baylor Bears da lui sapientemente allenati siano tutt’oggi imbattuti e protagonisti di una stagione storica per un’università che da quando si è trasferita nella Big XII ha vissuto perennemente nei bassifondi, e che possano sorprendentemente presenziare ai piani alti della Ncaa dopo la rivoluzione mentale da lui apportata. Gli spettri del passato si fanno avanti con una costanza perfida e malvagia, e la sua vita, per quanto le persone cerchino di aiutarlo, resta macchiata per sempre.

NCAA Football: Wofford at BaylorEra il 16 ottobre del 1976, e Briles era un quarterback riciclatosi da wide receiver con poche speranze di giocare all’università di Houston, lui che nel Texas ha strutturato tutta la sua successiva carriera di coach, ed in quell’occasione si disputava una partita di regular season contro SMU nella particolare cornice del Cotton Bowl. L’evento era del tutto particolare, ed indusse papà Dennis, che di Art era stato allenatore alla high school, mamma Wanda, e la zia Elsie Kittley, per tutti Tootsie, ad affrontare il viaggio dalla cittadina di Rule – della quale Dennis era sindaco – a Dallas, per vedere il figlio scendere in campo dal vivo. Art aveva insistito affinché lasciassero perdere, non avrebbe disputato molti snap perché dopotutto era un backup ed i giorni di gloria in cui era un regista di liceale di grande rilevanza statale erano lontani, aveva pure un ginocchio in disordine e nella stagione precedente si era pure rotto un polso, aveva perso allenamenti, ripetizioni con la squadra, e di conseguenza il suo posto era nelle retrovie della depth chart. Si chiese perché mai i suoi cari volessero così tanto venirlo a vedere se, come presumeva, era destinato a vedere il campo solamente in una manciata di occasioni, e per giunta se il risultato fosse stato così favorevole da consentirlo.

Ma i tre, allo stadio, non arrivarono mai. Un tragico incidente portò contemporaneamente via tutte e tre quelle preziose vite che per Art rappresentavano tutto, un camion che tentava con vile azzardo di sorpassarne un altro non si accorse della vettura dei Briles e provocò il letale frontale, quando il viaggio non era nemmeno arrivato a metà percorso. Ad Art pareva strano non riuscire a scorgere i suoi tra gli spalti, si erano accordati la sera prima, e lui sapeva dove avrebbe dovuto guardare per scorgerli. I Cougars vinsero per 29-6, coach Bill Yeoman venne avvertito una mezz’ora prima del kickoff, e fu costretto ad accettare il fatto che sarebbe dovuto essere lui ad informare Briles della tragedia, senza minimamente sapere che cosa dire. Lo fermò a fine gara, prima di entrare negli spogliatoi, lo condusse in una stanza lì vicino, e gli spiegò l’accaduto come meglio gli riuscì. Ci fu solo un aspetto positivo che emerse dalla faccenda. La fidanzata di Art, oggi sua moglie, Jan Allison, all’ultimo momento aveva deciso di non partire con la comitiva.

Art Briles da allora vive nella colpa, seppure la responsabilità dell’evento non sia chiaramente attribuibile a lui. Tuttavia, anche dopo essersi consultato con amici, parenti, professionisti di vario genere, il risultato non è mai cambiato. Gli eventi familiari e le festività, nonostante l’unione tra lui e Jan abbia portato alla nascita di figli oggi adulti, hanno sempre portato con loro un pizzico di tristezza, di amarezza, di ricordi che da un momento all’altro erano spariti con una rapidità beffarda e crudele.

“Ho sempre pensato che tutto ciò avesse avuto a che vedere con la morte di mamma, papà e zia Tootsie”, dice Art “, “nella mia carriera di allenatore ho sempre accettato dei posti di lavoro che nessuno voleva. Tutti si presentavano al colloquio sperando di non essere assunti, ma io quel posto lo volevo a tutti i costi. Sono andato in posti tristi, oscuri. Dov’era il problema? Io c’ero già stato in quei luoghi, dentro di me, ricordando le mie sofferenze. Che differenza avrebbe fatto tornarci una volta in più? Non sono mai stato intimidito dal compiere nessuna impresa, ho sempre convinto i miei ragazzi che ce l’avrebbero potuta fare. Nulla mi ha mai spaventato, data la mia esperienza di vita. Ho scelto la strada maestra. Mi sarei potuto ubriacare da mattina a sera e giustificarmi con ciò che mi era successo, ma non l’ho fatto. La cosa più sensata era vivere onorando i miei genitori e mia zia, soprattutto dal punto di vista morale.”

ncf_a_kolbbriles_600x400Briles si riferisce, come si sarà ovviamente compreso, ai vari percorsi prima di high school e quindi di college che l’hanno accompagnato fino a dove si trova ora. Tutti hanno quel minimo comune denominatore, il fatto di non essere scuole attraenti per gli atleti-studenti, di non possedere alcuna tradizione vincente nel momento storico che precedeva di volta in volta l’assunzione, ed il fatto di essere stati dei programmi rivoltati come calzini da un head coach innovativo nella tattica e così mentalmente ferreo da convincere ogni suo singolo giocatore delle sue enormi potenzialità.

Dopo essersi laureato a Texas Tech – aveva comprensibilmente abbandonato Houston – Briles cominciò la sua missione nella vita: fare l’allenatore di football, proprio come il padre. Cominciò come assistente alla Sundown High School, appena uscito da scuola, e proseguì alla Sweetwater High l’anno seguente, per rimanervi un quadriennio. Nel 1984 passò ad occuparsi della Hamlin High. Durante i playoffs di quella stagione, in una partita che non si schiodava dal punteggio di parità per 7-7, Briles decise la mossa che avrebbe determinato la sua carriera: prima del quarto periodo cancellò tutto ciò che aveva preparato per il piano-partita, analizzò la difesa forte e resistente degli avversari e decise di batterli con la velocità. Da quel momento in poi non avrebbe più abbandonato la spread offense. La stagione successiva, la Hamlin High produsse quasi 42 punti a partita, ed ogni avversario le si parasse davanti non riusciva minimamente ad avvicinarla nel punteggio.

Da qui cominciò il viaggio per raddrizzare le situazioni di cui nessuno voleva sentir parlare. Venne assunto dalla Stephenville High School, per allenare una squadra che non giocava i playoffs statali dal 1952, e grazie alla sua strategia offensiva riuscì a vincere 4 titoli statali in classe 4A, sfoggiando in un’occasione le migliori statistiche di tutta la nazione. Dopo aver vinto tutto quello che si poteva vincere a livello liceale Briles venne assunto nello staff di Mike Leach a Texas Tech, e reclutò personalmente un giocatore di cui nessuno si occupava troppo. Troppo piccolo e minuto, dicevano, ma in seguito quello stesso wide receiver avrebbe stupito tutti , a parte Briles che ne aveva intuito le potenzialità, collezionando più di 250 ricezioni in carriera. Quel ricevitore era Wes Welker.

Il passo successivo fu la maledetta Houston. Briles prese in mano dei Cougars a dir poco disastrati, e li portò a vincere l’Holiday Bowl alla sua prima stagione, il 2003, e quindi, dopo un 3-8, traghettò a Houston alla partecipazione in tre Bowl consecutivi vincendo anche un titolo della Conference Usa con Kevin Kolb al timone del suo attacco, in un campionato, il 2006, dove i Cougars furono il miglior attacco nazionale per yards a partita con 446.

rgIIIBaylor era finita nella nuova Big XII nel 1996, e storicamente ne era considerata la squadra materasso. Assegnata alla South Division, finì ultima in 11 delle prime 12 stagioni e veniva sconfitta dalle avversarie divisionali con qualcosa come 24 punti di media di scarto. Un disastro completo. Briles arrivò accettando anche questa sfida, e portò con sé un prospetto interessante, che aveva reclutato per Houston: Robert Griffin III. Nel 2010, dopo che Griffin – già precedentemente nominato offensive rookie of the year – recuperò dalla rottura del crociato del ginocchio destro, i Bears si qualificarono per il primo Bowl degli ultimi 16 anni, e l’attacco spazzò via ben 22 diversi record offensivi d’ateneo. Nel 2011 Baylor terminò a quota 10-3, un record inimmaginabile per chiunque che comprendeva la prima vittoria di sempre contro Oklahoma, e Griffin alzò l’unico Heisman Trophy mai vinto da un giocatore dei Bears. Chiudendo sopra quota .500 l’anno scorso, Baylor ha ottenuto due stagioni consecutive chiuse con bilancio vincente, evento mai accaduto nei 25 anni precedenti, ed ha sconfitto Ucla nell’Holiday Bowl.

Oggi i Bears sono una macchina da guerra. Più di 60 punti a partita, oltre 700 yards di media di total offense, primi di tutta la nazione per yards su passaggio e settimi per yards ottenute su corsa. I campioni si laureano e lasciano la scuola, ma lo schema è sempre vincente, e fornisce ottimi risultati di anno in anno. Ed in questo 2013 potrebbe arrivare anche il primo titolo Big XII di sempre, che sarebbe solo un altro dei traguardi ottenuti da Briles contro ogni pronostico. I Bears hanno battuto – anzi, spazzato via – i nemici Sooners giovedì scorso e dovranno affrontare altri numerosi ostacoli prima di poter cantare vittoria, ma resta il fatto che Art ed i suoi ragazzi stanno scrivendo la storia, e sognano di poter partecipare – e vincere – ad un Bowl di quelli maggiori.

Come si fa a non augurarglielo di tutto cuore?