Natura morta con Commissioner

E’ veramente, ma veramente odioso, dover iniziare la mattinata di lunedì, dopo un weekend scoppiettante per quanto riguarda la NFL, parlando di politica.
Qualcuno dirà che in fondo tutto è politica, ma chi si vuole immergere nel gesto sportivo almeno il weekend dovrebbe poter tenere lontano questo argomento almeno per quella manciata di ore.
Invece si finisce a parlare di Donald Trump e di come abbia invitato alcune aziende di grosso fatturato a licenziare alcuni dipendenti perché non si prostrano alla bandiera.

Il riferimento alle polemiche dell’ultimo periodo che hanno coinvolto dapprima Colin Kaepernick, poi Michael Bennett, è abbastanza chiaro. E se la sparata dell’esimio presidente degli Stati Uniti fa sensazione, molto meno la fanno le dichiarazioni ufficiali di alcune squadre, in fondo tutto è da copione.

Vedete, la NFL, e Roger Goodell nello specifico che la gestisce in modo da massimizzarne i ricavi, sono delle prostitute, senza nulla togliere alle peripatetiche di mestiere. Su Colin Kaepernick gli owner hanno (in accordo o ognuno per i fatti propri non si sa) creato da subito una barriera di ostracismo e tenuto un atteggiamento davvero orribile, e chiaramente insensato se prendiamo in esame almeno la metà dei QB starter della NFL e le rispettive prestazioni.
Ora visto che a suon di sondaggi devono aver capito che quella di Kaep è una posizione condivisa negli USA, o perlomeno non più marginale, magicamente si scoprono difensori dei diritti fondamentali dei cittadini e dei giocatori.

Non ho mai sopportato l’atteggiamento cieco e stolto di questa cosiddetta “America profonda” che ha sacralizzato lo Stato, una volta che gli è stata tolta la religione vera. Hanno bisogno di credere in qualcosa senza se e senza ma: lo Stato, la bandiera, l’inno, il presidente, i presunti simboli di libertà.

Libertà di parola, di cui si riempiono la bocca, ma la libertà di pensiero riceve lo stesso trattamento? A quanto pare, se non la pensi come la massa sei un fottuto traditore e devi andare all’inferno, iniziando con il perdere il lavoro. Senza contare che le opinioni dei giocatori sono perennemente filtrate attraverso la retorica del “siccome sono ricchi, devono lavorare e intrattenerci, sono dei privilegiati che giocano a fare i che guevarini”, come se il conto in banca togliesse il diritto di avere una propria opinione, magari sbagliata, ma propria.

Ormai non dovremmo nemmeno più far caso ai comportamenti della NFL che non riguardano strettamente il gioco, perché puntualmente si scoprono pietosi: come nei casi di violenza domestica, prima ignorati, minimizzati e quando capisce che quel tipo di atteggiamento butta un’ombra sul loro business, trattati in una maniera talmente draconiana da cadere nel ridicolo.
O per il problema delle concussion, che prima era ignorato ed ora, senza che lo si dica espressamente in giro, preso talmente sul serio che il gioco sta diventando una sorta di flag football in pad e casco.

Quelli della NFL, semplicemente, non hanno opinioni.

Le opinioni gliele costruisci tu, in base a come ti piace spendere il tuo denaro. Loro hanno solo conti in banca e basano la loro etica sui movimenti di denaro e sulle analisi di questi movimenti. Se domani scoppiasse la moda dei tutù rosa, probabilmente vedremo qualche squadra derelitta (tipo Jacksonville) scendere in campo col tutù rosa per guadagnarsi simpatia e fette di mercato.

Ora Trump, che ormai è fortemente impopolare, può essere un buon modo per lavarsi la coscienza, e per abbracciare tutta l’opposizione internazionale al Presidente (si sa, la lega vuole diventare un brand mondiale, le International Series sono solo il primo passo). L’errore principale di Kaepernick è stato quello di partire troppo presto, quando ancora la NFL non aveva fatto dei sondaggi approfonditi.

Che sia un business lo sapevamo tutti e non ce ne preoccupavamo, ma un minimo di dignità sarebbe gradita, invece ogni giorno ci accorgiamo di quanto questa dignità sia morta, seppellita dai soldi.
Cercasi spina dorsale. Telefonare a Roger Godell, ore pasti.

 

[Giacomo Lavoro/Gianni Cidioli]