La magia indimenticabile di Londra.

Unica. Forse basterebbe questa semplicissima parola per raccontare la trasferta londinese della National Football League, perché effettivamente è talmente singolare quello che accade sul suolo britannico, per quanto riguarda una partita di football made in USA, che ogni altro termine non renderebbe l’idea di quanto riesca a rivelarsi magico ed indimenticabile il weekend dedicato alle International Series.
LondonNFLRegentStIn nessun altro posto al mondo in cui si giochi una partita di football americano è infatti possibile godere di una sfilata delle trentadue jersey che vestono la lega, come risulta impossibile ascoltare un mescolarsi di tanti idiomi diversi, che si danno appuntamento in terra d’Albione per unirsi in un unico, accorato, grido, in favore delle squadre che si sfidano sul campo.
Una marea di gente che, raccontata su un foglio cartaceo, o digitale, non rende merito alla vera e propria invasione che subisce Londra nei giorni a cavallo dell’evento; si parte dagli aeroporti, dove ci si incrocia tra partenze e arrivi, per continuare nelle metropolitane, tra una corsa frenetica su e giù per le scale o una mesta salita a cercare nuovamente l’aria del giorno, prima di giungere finalmente su quelle vie, quelle piazze, dense di storia, prese d’assalto da uno sciame di fans NFL alla ricerca del loro personale Santo Graal.
LondonRegentCheerPuò trattarsi di una nuova divisa da aggiungere alla propria collezione o di quella, sognata, del proprio idolo, di guantini, sciarpe, t-shirt, cappellini, magari una foto con qualche volto noto, meglio magari un primo piano di un’adorabile cheerleader, oppure una semplice e rinfrescante birra, perché, d’altronde, cos’è un viaggio in terra d’Albione senza frequenti tappe a sorseggiarsi un po’ di luppolo in qualche pub, meglio ancora se accompagnato dal caratteristico fish’n’chips?
La NFL a Londra è anche e soprattutto questo, ci si incontra e ci si trova ovunque, ci si guarda da lontano, ci si ammira a distanza e ci si saluta, perché nel vecchio continente, ad essere un’amante incondizionato dello sport con la palla lunga un piede, a volte, diciamola tutta, ci si sente un po’ come le famose mosche bianche, tanto rare da risultare quasi introvabili; e allora, quando ci si trova tutti insieme, quando ci si incrocia a pochi metri di distanza, è normale salutarsi con un gesto, annuire in segno d’approvazione, e stimarsi reciprocamente senza neppur scambiare una parola.
Logico, ci sono quelli più intraprendenti, che cantano marce trionfali, altri più o meno moderati, vogliosi di inneggiare alla propria fede ma attenti a non risultare troppo invadenti, che solitamente si accontentano di un “Go Vikings” o un “Go Steelers”, e pure quelli timidi, che magari scappano a gambe levate, quasi impauriti, quando un pazzo con un cappello da cowboy e lo sguardo invasato gli grida un agguerrito “Rise Up”; sembra impossibile, ma succede anche questo, l’ho visto con gli stessi occhi che stanno ora seguendo l’evolversi del mio scritto davanti allo schermo del PC.
LondonSupporterWembleySuccede perché siamo in una terra dove ancora ci si è poco abituati alla massa dei footballfans che si muovono a piede libero, sempre pronti, come accade negli States, a tirare fuori il barbecue da campo e mettersi a grigliare manco fossero in riva ad un lago a ferragosto; il popolo vociante del football è questo, prendere o lasciare, casinaro come pochi altri al mondo ma capace comunque di sottostare alle rigide regole anglosassoni, sciamando ordinatamente come uno stormo di api verso quel dolcissimo miele che li attende al glorioso e rinnovato Wembley Stadium.
Un percorso ad ostacoli, tra venditori d’hamburger e hot dog e stand che vendono il merchandise dell’evento, dove tra una coda e l’altra ti capita anche di scambiare qualche battuta, o, nel caso peggiore, di conoscere qualche pazza proveniente dagli states che cerca di spiegarti il fantomatico significato del numero 69 portato con fierezza dal suo idolo Jared Allen; “Grazie cara, ma anche al di qua dell’oceano, siamo già stati informati.”, non saremo all’altezza degl’americani su un campo da football, ma in qualità di amanti, mica siamo secondi a qualcuno, noi.
Significati nascosti dei numeri a parte, giungere a quell’agognato bancone è sempre un’impresa, e trovare, come al solito, al di la del tavolo il solito inappropriato commesso, che manco sa distinguere lo stemma degl’Eagles da quello dei Falcons, di certo non aiuta; tra un “Yes”, un “No” ed un “How much?”, ci si riesce comunque a concludere, una maglietta, un cappellino, magari anche un regalino per qualcuno rimasto a casa, la sciarpa dell’evento, un nodo intorno al collo e via, la partita è ormai prossima e si è tutti pronti ad affrontare i cancelli del mitico Wembley, che mai come oggi, sembrano tramutarsi in quelli del paradiso.
Passa la sbarra, passa il controllo, e via su per le scale, alla ricerca di quei posti da dove assistere al match che dentro di te attendi da una vita; il clima è straordinario, la gente pure, una moltitudine di colori disseminata sugli spalti, i kicker e i punter che fanno le ultime prove sul campo, i quarterback che scaldano il braccio, e tutti gli addetti ai lavori che effettuano gli ultimi preparativi. Manca poco ormai, e si comincia a respirare aria di NFL, aria di football, come non mai.
LondonTerribleTowelI primi ad entrare sono i Pittsburgh Steelers, e quando invadono il campo, una marea di gialli Terrible Towel cominciano a sventolare sugli spalti, tanto che sembra di essere in Pennsylvania anziché in Inghilterra; la Steeler Nation si fa sentire, almeno fino a quando non vengono annunciati i Minnesota Vikings, che da buoni padroni di casa, si apprestano a fare il loro ingresso tra due foltissime ali di cheerleaders, disposte lungo la via che condurrà i guerrieri in purple&gold verso il loro Valhalla.
A suonare la carica ci pensa il mitico corno vichingo, un attrezzo sputa fuoco che da il via alle danze mentre scendono sul terreno di gioco tutti i componenti del roster; entrano per prime le riserve, seguite dalle due linee, poi scorrono i giocatori più rappresentativi, chiamati a gran voce dallo speaker, prima che lo stadio si fermi un attimo, nell’esatto momento in cui dagl’altoparlanti esce un suono, inconfutabile, indimenticabile, che annuncia la discesa sul campo di battaglia dell’unico e solo Adrian Peterson.
LondonSimmonsWembleyQuando sfreccia tra le cheerleaders il numero 28 lo stadio diventa una bolgia, dagli spalti di Wembley parte un boato assordante, è lui il gladiatore eletto a idolo indiscusso della folla, che saluta alla sua maniera, con uno scatto fino sulla metà campo, per testare muscoli e condizione fisica in vista della lotta; la tensione sale, alta, come i brividi sulle note di un inno americano splendidamente interpretato da Gene Simmons, leader dei famosissimi KISS, accompagnato dalla delicatissima voce di una corista, che fa innalzare tutti verso il cielo, con una mano sul cuore, in una serata londinese che prende sempre più vita mentre Laura Wright intona God Save the Queen, celebrando anche il paese che ospita, per una notte, la National Football League.
Lega rappresentata per l’occasione da due squadre arrivate avare di soddisfazioni all’appuntamento con il match britannico, entrambe a secco di vittorie ed in cerca di un riscatto che inseguono fin dalle prime battute, con Matt Cassell che in campo al posto dell’infortunato Christian Ponder, guida subito i Vikings ad un drive vincente, conclusosi con il calcio infilato da Blair Walsh, da 54 yards; un vantaggio minimo ma importante, che pochi minuti dopo rischia di aumentare grazie ad una cavalcata impressionante di Marcus Sherels, che corre per 68 yards su punt return, facendo alzare in piedi tutto lo stadio, prima che gli arbitri cancellino tutto per una penalità.
LondonSkolVikingsRicacciata indietro, Minnesota riesce comunque a colpire nuovamente gli Steelers con un’invenzione di Greg Jennings, che con uno slalom ubriacante mette a tappeto due difensori avversari e si introduce nelle secondarie, evitando anche l’ultimo, disperato, intervento di Troy Polamalu, prima di entrare in endzone, mentre ancora una volta gli spalti insorgono, come se stessero seguendo direttamente l’azione dalla sideline; il corno vichingo, preso in controtempo, non riesce nemmeno a suonare la carica del primo down, perché nel frattempo si è segnato, e allora bisogna tuonare due volte, mentre sul campo si balla al ritmo di Skol Vikings, l’inno che sprona il team a correre verso la meta.
Un pezzo simpatico, vintage, che per tutta la sera sarà sempre accompagnato da uno sventolio di bandiere viola ogni volta che Minnesota supererà la fatidica linea dell’endzone, cosa che nel frattempo fa Pittsburgh, accorciando le distanze a poco dalla fine del primo periodo, che non riserva altre emozioni, se non un susseguirsi, incessante, di drive interrotti dopo pochissime yards guadagnate.
Guadagni che paiono essere il cruccio della serata per Peterson, costantemente ingabbiato dal box avversario, obbligato a sbattere contro il loro muro da una linea che fatica, ancora una volta, a creargli i giusti spazi per sviluppare le sue corse; il talento da Palestine, Texas, scalpita, lotta come un dannato, per ogni centimetro, per ogni misero spicchio di campo, ma i Men of Steel non vogliono saperne di mollare, almeno fino a quando non indovina il buco giusto, e infila una delle sue devastanti galoppate nella prima parte del secondo quarto, sfrecciando per 60 yards fino all’area di meta.
VikingsVsSteelersSegna, e, con uno stadio ancora in piedi dopo aver accompagnato la sua corsa vincente, come solito fare mostra i bicipiti ai suoi fans disposti dietro l’endzone, indirizzando il match su binari che a lui piacciono davvero tantissimo e che permettono a Minnesota di chiudere agevolmente in vantaggio il primo tempo, con le distanze mantenute invariate grazie ad un nuovo calcio firmato da Walsh, che risponde pochi minuti più tardi alla trasformazione da 3 punti messa a segno dal collega Shaun Suisham.
Nel terzo quarto i Vikings accelerano ulteriormente, e alla realizzazione di un interessantissimo Le’Veon Bell, all’esordio tra i professionisti, rispondono nuovamente con l’accoppiata Peterson-Jennings, andando a segno con il runningback su corsa da 7 yards e con il wide receiver su ricezione da 16 yds, che conducono il team su un più 17 piuttosto rassicurante.
Utopia, se si pensa all’epilogo dei match in cui è stata impegnata Minnesota nelle ultime settimane, una storia che rischia seriamente di ripetersi anche sul suolo londinese, dove un errore dalle 44 yards di Walsh tiene largamente in partita gli Steelers fino all’ultimo, soprattutto dopo che la banda guidata da Mike Tomlin trova il modo di ridurre le distanze ad un solo touchdown, con il TD pass confezionato da Ben Roethlisberger per Jerricho Cotchery e il calcio trasformato da Suisham.
LondonCornoVikesA risolvere una situazione che si è fatta sempre più seria con il passare dei minuti e che ha il potere di ammutolire tutto il popolo vichingo presente sugli spalti, ci pensa la linea difensiva, guidata da un Jared Allen superlativo, che con Everson Griffen e Kevin Williams mette a segno il sack e il fumble recovered decisivi; su quest’azione, di fatto, si chiude il settimo appuntamento delle International Series, e mentre lo stadio inizia a svuotarsi, e la moltitudine colorata di supporter si dirige verso la metropolitana sotto l’egido sguardo dei Bobby a cavallo, la sensazione di aver assistito ad un qualcosa di magico ed indimenticabile, prende sempre più piede nella propria coscienza.
Una sensazione che ha il sapore di una birra consumata in un pub, non una bevereccia e dissetante, ma una di quelle belle cariche, tipicamente inglesi, una Ale in tutto e per tutto, sorseggiata mentre sullo schermo scorrono le immagini di un’altra partita di football, una di quelle della seconda tornata domenicale, delle ventidue ora italiana.
Li, nella penombra di un locale d’oltremanica in cui si mescolano gruppi di ragazzi inglesi intenti a godersi l’ultima bisboccia di un interminabile weekend e sparute compagnie di football addict sparpagliati su più tavoli, in un silenzio quasi irreale se paragonato alla festa che fino a pochissime ore fa aveva inondato Wembley, si conclude l’avventura londinese, mentre tre suoni flebili, quasi impercettibili, emessi dall’enorme corno vichingo, segnalano il rompete le righe definitivo.